Darkmind: (il suono di una risata silenziosa, seguito da un silenzio che termina con
PM: … no.
Non tu!
Credevi di passarla liscia?
PM: Che vuoi?
DM: Lo scoprirai.
Quando sarà troppo tardi.
Per il momento, pensa.
Com’è che non ti girano le palle per la settimana della fottutissima moda, a Milano?
DM: Sì, certo.
Lo so che “la moda” per te era l’ultimo servizio del telegiornale.
E basta.
PM: Che c’entra.
Non mi ha mai interessato, ma l’ho sempre vista come una ricerca estetica.
Uno dei tanti modi dell’essere umano di scoprire di più.
DM: Dai che lo so.
Lo so che comprare una borsa che costa 2000 euro, per te, è come camminare coi tacchi a spillo sulla faccia di chi si siede di fianco all’entrata del supermercato, sperando nelle briciole.
Sei un illuso, o un buonista.
Perdi, comunque.
E non hai nemmeno le palle per rimanere fedele alla tua scelta, per quanto ridicola sia.
PM: Non è così.
Ho discusso con chi lavora nella moda.
So che quella borsa, li vale tutti, i 2000 euro.
DM: Perché è un oggetto unico, vero?
Quasi un pezzo d’arte.
Bellezza.
PM: Sì.
Se uno può permettersela, e ne ama la bellezza, è legittimo che-
Te le racconti.
La bellezza non è in vendita.
Se proprio esiste.
Se non è solo gestalt.
Nell’occhio di chi decide di vederla, e imporla come un valore oggettivo.
Come “moda”, da seguire o no.
PM: Ma chissenefrega.
Cos’è, cosa non è: la causa è ininfluente, il sintomo è ciò che conta.
Questa voglia di possedere qualcosa che sia ben fatto, funzionale e, perché no, bello.
Questo desiderio c’è, e tanto basta.
Qui sta il marcio.
Appiccichi il bello alla funzione, o viceversa?
Cos’è veramente questa ricerca di cui parli?
Questo tentativo di estrarre eleganza formale, senso, emozione, da un cazzo di contenitore per rossetti e fazzoletti di carta?
Qualcosa che veramente puoi vendere a un prezzo che è il doppio dello stipendio mensile del coglione qualsiasi?
PM: Non importa il prezzo.
È necessario che sia possibile, e continui a esserlo, possedere qualcosa che non sia solo utile, ma “altro”.
Ci distingue come esseri non-solo-viventi, forse ci potrà fare finalmente evolvere, un giorno.
DM: … oppure crepare.
PM: … e figurati se non…
Rifiutare questo desiderio è un suicidio.
Mordere la mano che ci nutre, gettando sulla strada chi è appassionato, lavora i materiali, le idee, le rende design, lampi di genio.
DM: Possedere.
“Altro”.
Pensate ancora che sia normale associare i due concetti.
Naturale, magari.
Invece quell’arabo, nella metropolitana.
Ubriaco, preso male.
Che blaterava di “lavorare 100 ore al giorno”, di “schiavi, siamo schiavi”.
Tutti che facevano finta di niente, anche tu.
Eppure lo ascoltavi, ti prendeva dentro.
È lui il rifiuto di questo mondo?
Quello per cui Bakunin si incazzava con Marx alla Comune?
Contronatura.
Arriva nella mecca della vita, del lavoro e della moda, e gli fa schifo, la insulta.
Sporca e deturpa ciò che dà vita a tutti i bravi proletari.
L’ha detto lui stesso, mentre scendeva dal vagone.
Amaro, sconfitto.
Il prezzo di una borsa, il prezzo della felicità.
Io sono come lui.
Ci sputo nel vostro piatto.
Questo è l’unico diritto che rimane.
PM: … non…
DM: Va’ a dormire, va’.
PM: Sì, anche tu.
DM: Io non dormo mai.
Attendo.