martedì 27 aprile 2010

Sentinella.

Il compagno Peppo ha freddo, lì su quella roccia, tra i pini.
Ma è contento, perché gli hanno dato il binocolo.
A lui piace tanto quella magia di vedere le cose lontane come se fossero lì, come se potesse toccarle. Ma lo sa che può solo vederle, e poi non si deve distrarre.
Il compagno Peppo, da lì in alto, vede bene la mulattiera, e il compagno Draco gli ha detto che deve stare di guardia.
Se vede dei camion tedeschi, deve soffiare dentro il richiamo per le quaglie, e scappare subito, tornare alla base, sull'altro versante della montagna.
Il compagno Draco è l'unico che lo tratta bene, che gli parla un po' e non lo guarda con gli occhi cattivi, come fanno tutti gli altri della brigata.
Il compagno Peppo non capisce tante cose, ma che i compagni della brigata non lo vogliono perché è scemo, quello l'ha capito.
Ma se non lo cacciano via, lui rimane. E se lo cacciano, farà il partigiano da solo.
Ormai ha deciso.
Il compagno Peppo poi prova a canticchiare la canzone dei partigiani, ma non gli viene in mente mai come inizia.
Intanto la mulattiera è sempre deserta.
Si stringe nel maglione bucato dalle tarme, rabbrividisce, sente la puzza che gli aggredisce il naso, quell’odore che viene da lui che non si lava da... non si ricorda, ma da tanto.
Si guarda i piedi fasciati in stracci trovati un po' qui e un po' là, e sente anche la puzza forte che viene dai piedi, perché da quello destro perde sangue, le fasce sono marroni scure, umide, ma lui non le vuole togliere per vedere cos’è successo lì sotto.
Il compagno Peppo riprova a canticchiare la canzone dei partigiani, ma non gli viene proprio in mente. Dà un’altra occhiata alla mulattiera.
Come al solito. Non c’è nessuno.
Il compagno Peppo allora ruota il binocolo verso il paese.
Bello guardare il paese, sembra il presepe che don Salvatore faceva a Natale, e sono già due anni che non lo fa più. Visto così, dal binocolo, sembra avvicini l’occhio alle casette, alle piazze in miniatura, e ci sbirci dentro.
Ma adesso non c'è nessuno in giro, anche lì, come sulla mulattiera.
No aspetta… c'è la Giulia!
Sta tornando dal pozzo… quanto tempo che non la vedeva, la Giulia!
Cammina strano, però, e la sua faccia non riesce a vederla bene, però i capelli non sono belli come al solito, bianchi, lunghi, puliti.
Guardando la Giulia che cammina in quel modo, al compagno Peppo all’improvviso gli viene male dentro lo stomaco, quel male che di solito sente quando vede un animaletto che soffre.
Stacca il binocolo dagli occhi, se li stropiccia con le mani. I guanti di lana smangiata che lasciano fuori le dita disfanno i cerchi bianchi che tante ore di cannocchiale hanno disegnato sul suo viso dipinto di sporco, di terra, di freddo e buio.
Si rimette a guardare: la Giulia sta portando due secchi dentro casa, ma poi rallenta, prima di entrare, e sembra rannicchiarsi, alza le braccia… che strano, proprio strano.
Poi il compagno Peppo vede che c’è un uomo sull'uscio dalla casa della Giulia, con un fucile.
Lo vede che, col calcio, inizia colpirla sulle mani. Una, due, tre, quattro volte, basta, basta, basta!
Lascia stare la Giulia!
Il compagno Peppo si accorge che, quella preghiera, l’ha gridata, verso quel sole bianco che sta calando dietro la montagna.
Degli uccelli hanno spiccato il volo, spaventati.
Il compagno Peppo si lascia scivolare giù dalla roccia, tremante, e inizia a correre giù, tra i pini, verso il paese.
Non sente il dolore ai piedi né il peso del suo corpo massiccio, mentre una paura fredda gli scende sulle tempie. Entra in paese correndo, con quei piedi enormi di stracci che fanno un rumore sordo, di pugni sulla faccia, quando sbattono in terra.
Poi arriva, e vede la Giulia, seduta in mezzo ai secchi rovesciati, e l’uomo col fucile che le sta davanti. Le tira un calcio sul fianco, le urla qualcosa.
Nelle orecchie del compagno Peppo c'è tanto rumore, non capisce cosa dice l'uomo, ma sente nuovamente se stesso urlare. Anche lui urla, come l’uomo, e anche le sue stesse parole non le capisce.
Il compagno Peppo vede che l'uomo ha un maglione nero col collo alto, quando si volta verso di lui imbracciando il fucile. Ma non mette a fuoco la sua faccia, perché non conta, perché sa già chi è quello lì.
L’uomo nero.
Ecco chi è.

L'uomo nero che fa del male alla Giulia, a lui e a tutti i bambini, e anche a tutti gli altri.
L'uomo nero che ha sempre una parola brutta per tutto.
L'uomo nero che ha sempre un fucile per tutto.
Che non gliene frega niente di nessuno, ma proprio di nessuno.

L’uomo spara al compagno Peppo.
Il compagno Peppo sente un dolore in più vicino allo stomaco, il colpo di fucile gli frantuma il fegato, l’impatto gli sposta tutto il corpo all’indietro, sente le gambe che danno due colpi nell’aria, sta per cadere, ma mette le mani per terra, e continua a correre, quasi a quattro zampe, come un orso, un animale ferito, spaventato, ma libero, vivo.
Come un orso travolge quell'uomo, che finisce per terra con lui, sopra di lui, polvere, sassi, erbacce, rotolando con lui.
L’uomo spara ancora, un altro colpo di fucile che sfonda un polmone del compagno Peppo, che inizia a sentire il petto in fiamme.
Ma ora la testa è lucida.
Il rumore nelle orecchie non c’è più.
Il compagno Peppo afferra l’uomo per le spalle, sedendosi su di lui, lo scuote, gli fa sbattere la testa per terra, più volte, fino a vedere il sangue che esce dal naso e dalle orecchie, fino a quando è sicuro che l'uomo è morto.

L’uomo nero è morto.

Così il compagno Peppo si lascia andare, e si accascia su quel corpo morto. Ucciso. Da lui.
Sente il calore del sangue che inzuppa il suo maglione smunto, debole, si sente debole.
Vede una nebbia luccicante, i colori che si smorzano, il freddo che diventa tutto quello che c'è, una nebbia così bianca, un bianco così freddo.
Il compagno Peppo pensa un'ultima volta che adesso non c'è più nessuno a stare di guardia, ad aspettare i camion tedeschi.
Spera che il compagno Draco non si arrabbi, ma…
Ma ora vede solo un cortile lontano, in quel freddo, in quel bianco.
Tutto freddo, tutto bianco.
Una mattina.
Mi son svegliato.
Ecco come faceva.

Il compagno Peppe poi muore.

Quell'anno, non passò nessun camion tedesco, su quella mulattiera.

giovedì 15 aprile 2010

Niente Alcool, Nicotina Non - Solo Sano.

Vi offriamo la possibilita (ok, ormai mi sono convinto, possibilita, senza accento finale, si dice così, basta ragagnare! C’è chi possibilita le cose, le rende possibili, e chi no!) che di acquistare (certo che questo utilizzo del “che” colloquiale ormai spopola…) le pilolle (piLOLLA, ride molto… LOL!) di risparmiare denaro! (aspetta… una pilolla di risparmiare denaro? Ingolla la pilolla, che fa rima, e ti ritrovi con più denaro in banca? La medicina fa passi da gigante, porca putrella!) Molto veloce consegna! (molto veloce ingolla!)

Essi possono non tutti i caduti! (Coloro possibilitano mica tutti i caduti, solo alcuni? Cosa significa? Che non tutti i penis molli verranno resuscitati? Appendo la traduzione al chiodo, mi sta portando su cattive strade…) Ordine on-line solo al miglior farmcaia (farmcaia, non farmtizia, atansiòn) e ottenere solo i migliori! (i migliori! Cosa? I migliori, che altro? Sì ma cosa? The best, e altro non ti è dato sapere, looser! Uffaperò)

http://ciapakyciapaly849.speisis.laiv.com

Hasta lo SPAM, siempre!

venerdì 9 aprile 2010

Lo sgabuzzino cinese (2)

(Premessa.

Il documento che chioso qui sotto è REALMENTE un libretto di istruzioni di un elettrodomestico, o meglio, la traduzione dal cinese all'italiano di tali istruzioni, o meglio ancora, dal cinese all'inglese ed infine all'italiano.
Può essere letto almeno in tre chiavi:

- Hanno preso la traduzione inglese e l'hanno sbattuta nel traduttore di Google, ovvio che NON abbia alcun senso in italiano, che c'è da ridere? È solo la dimostrazione pratica dell'esperimento mentale di Searle, la cosiddetta "stanza cinese" (guardacaso...), dove il traduttore di Google è l'omino di madrelingua romancia, in genere un indigeno elvetico, contabile, che arrotonda la già esosa paga con questo lavoro meccanico, cioé, che non sa né l'italiano, né l'inglese, figuriamoci il cinese, che segue solo delle istruzioni in lingua romancia per prendere le frasi che gli arrivano e trasformarle in altre frasi, senza sapere assolutamente che significhino. Punto e stop.


- Il traduttore invece sa sia l'inglese sia l'italiano, quindi c'è da ridere, perché, procaputrettola, che capperuolo di italiano conosci? In che mondo zen-dei-poveri credi abitino gli italiani per dire simili crapulonerie, lì, nella quiete del tuo sgabuzzino cinese?


- Non c'è alcuna traduzione, è proprio un madrelingua italiano che sta spiegando come funziona l'elettrodomestico. Quindi, più che ridere, c'è da piangere, urlare, dibattersi nel fango della disperazione per l'idiozia che vibra nell'animo di tale essere.


Se scegliete la prima chiave, ok, passate oltre, se invece scegliete una delle altre due...)


• Quando il soffiatore (prostratevi alla rivelazione! L'oggetto di venerazione trattasi di SOFFIATORE, da noi poveri adepti in cerca dell'elettrodomestico-buddha stupidamente chiamato PHON) è usato nella stanza di bagno, è tuttavia pericoloso se l'interruttore è via (l'interruttore non c'è, è andato via, l'interruttore non è più cosa mia? AH! Moriremo soli! Perché tutta questa sofferenza? Torna, interruttore, TORNA!), dunque per favore la tirata fuori dalla spina dopo l'uso (eh?, perfavore, la "tirata fuori" SOLO dopo l'uso, e non fatelo arrabbiare, che se fai la "tirata fuori" PRIMA dell'uso son puparuoli amari... tipo che non si accende manco il phon, tipo. Ma va? Eh sì. Trasecolo! Son cose. Vero neh? Eh sì.).

• Per favore di inviare il filo metallico malvagio
(HO PAURA! Il filo metallico malvagio... me lo diceva la mia MAMA che "se non dormi chiamo il filo metallico malvagio!") al servizio di dopo che-vendita nominato per cambiare un nuovo (ahem, Guru dello sgabuzzino? Guru? Dai, vieni qui... calmati... ti sento agitato... devo inviare il cattivaccio al servizio di dopo che-vendita, che vendita!, CHE VENDITA!, ahem, scusa, mi sono eccitato... dicevo.... inviare in quel posto strano che-vendita, poi nominato... nominarlo, via, per cambiare un nuovo... due punti? Un nuovo cosa? Tu mettici due punti, per troncare una serie di nonsensi, e vai tranquillo? Ok. Due punti siano): hanno degli attrezzi speciali per evitare il pericoloso che causato dalla sostituzione da sé (meditiamo sul precetto infuso di luce gnoseologica, il quale ci evince sul fatto che esiste un ATTREZZO, manco uno strumento, proprio un attrezzo, speSCIale... tipo un badile per raccogliere escrementi in copiosa quantità, attrezzo da usare per evitare i pericoli causati dalla sostituzione del sé... cioé, quando ti prendono e ti mettono la personalità di un altro dentro, chessò, quella di Cicchitto, ribrezzo, puteolenza, costernazione!, niente paura, ecco che con l'attrezzo di cui si tratta, a suon di badilate... badilate piene di merda, via, lasciatemelo dire, proprio dritte su quella faccia da parroco guardone, lo rimandiamo nel suo sgabuzzino delle libertà).


• Suggerisco per installare la corrente protetta regolando come la protezione di allegato nel circuito elettrico di stanza di bagno
(il suggerimento era più che saggio, saggione, saggistica, via! Ma a noi gementi e insoddisfacenti in questa valle di laGrime ci sfugge il concetto di "protezione di allegato"! Che è? Scansione antivirus?). La corrente di lavoro di questo montaggio (maestro, rabbi, eccellenza! Ci fa arrossire così...) non dovrebbe essere eccessa 30mA (uhm... ma io sapevo che nel montaggio ogni eccessa è la benvenuta... poi con un bel "lavoro" lungo 30mA...).


Assorbire!

Deglutire!
Ruttare per bene!
Questi capitoletti sacri!
Urge che decantino nelle nostre anime vagolanti nel buio!
Ehi, ma che ca... chi è chi mi palpa nel buio?!?
Ten i man apost!

(to be continued, ovèro, per essere continuato, direbbi il santone nello sgabuzzino)

venerdì 2 aprile 2010

Febbraioscuro.


Salgo, battito di portiera, e mi siedo soffice.
Fragranza, il motore avviato.
Mi muovo di nuovo.

Tergicristalli: scroscio, di nubi, scroscio, di nubi.

Le gomme solcano la sottile distesa di pioggia, scie sull'asfalto, una sorta d'insonne sollievo.

Scroscio, di nubi, scroscio, di nubi.

È buio l'umore riflesso dai marciapiedi, com'è ruvido il colore di quei muri che salgono crudi all'ultimo piano delle dimore sorelle di piazza Piemonte, che san di velluto, vetusti divani, volti d’ombra che dai ritratti guizzan rancore, di lampade spente, scuri serrati, finestre brunite, torri che cupe s'immergono nel nuvolo che Inverno ha sputato qui giù, di nuovo. Mi muovo.

Scroscio, di nubi, scroscio, di nubi.

Mi fermo a ridurre, grugnire, tremare un rimbombo di mente.
Mi alzo, ho... un secondo... poi mi risiedo in un soffio.
Scroscio, scruto, scroscio, scruto, scroscio, di nubi... il cielo coperto, atterrito, schiacciato, aggrappato alle rughe della mia fronte, rude, nuda, trasuda incubi maturi che fisso ad occhi socchiusi, trafigge fumosi futuri, non fugge, non scappa e non plana su pranzi imbanditi di vento, lasagne, tovaglie e coriandoli, risate e camicie danzanti al ritmo del sole.
Ma cova colpi di vuoto, e pulsa e ripulsa di nuovo, massaggio una tempia, di nuovo. Mi muovo.

Scroscio, di nubi, scroscio.
Il tergicristallo si blocca, ma ecco, riattacca.
Di nubi.

Un ultimo lungo singulto, percorro il viale umido di Monza, vetri di tetro profondi, negozi stranieri, eco d'Uganda, di Zimba, di reggae grondante, grumoso, di pelli soffuse, vagando nel tempo mi rimbalza sul muso. Cartestracce, bucce, hascisc e minacce, urli di lingua languida di bonghi agli angoli di strade, dall’alto di balconi scalcinati, dal sottosuolo di squallore e scantinati, di questa via che dritta ti porta, via, fuori, di nuovo i rumori, di nuovo. Ma non mi muovo.

Basta, questo girotondo, lo tronco, lo spengo.
Gesto di chiave e lo spezzo, il motore, lo fermo.
Le ruote, il freddo, tutto tace di pace.

Silenzio, che inizia.
Il tramonto di Marzo.