martedì 21 settembre 2010

Fate silenzio.

A volte, guardando lo scorrere del tempo, si apre una finestra.
A volte la puoi anche scavalcare, oppure stare solo a vedere.
A volte però non sai mica dove finisci.


Non ne posso più di tutto questo rumore.

Cuando una noche de amor desesperados caigamos juntos y enredados, mentre sono al cesso che piscio, e sono le 5 di mattina, non dormo, ma non per questa musica che traspira dalla finestrella del bagno e dagli stipiti della porta di casa.
I vicini, argentini?, fanno bisboccia, sbadiglio, fa caldo, ho sonno, ma non posso dormire, dondolo il capo a ritmo mentre finisco.
Poi scherzano, parlano a voce altissima, volumi impossibili per me che sono di un altro tempo, ormai morto e sepolto, la musica che continua, cambiando canzone, qualcosa che non conosco, un pianoforte che segna il ritmo, e ancora gridolini di donna, anzi no, urla proprio, sembra che la stiano sgozzando, e pianti di bambino, un bambino sveglio alle 5?
Mi fermo ad ascoltare, devo uscire?

In Europa ognuno si faceva i cazzi suoi, si poteva morire senza che nessuno sapesse nulla per settimane… ma ormai non esiste più, è una casbah semidistrutta dalla guerra, che me lo dico a fare?

Origlio… una voce di maschio, quieta, e una di donna, disperata, arrabbiata?
Che cazzo succede lì fuori?
Poi mi viene un colpo, colpi, colpi, alla mia porta, pianto di bimbo: apro, e che cazzo, arrivo...
Corro in camera da letto, prendo tutto quello che riesco a prendere, bobine, fusibili, viti e cacciaviti, e sbatto tutto sotto il letto.
Questi ci hanno il sesto senso per le bombe.

- Fame entrare por favor...
- Eccomi…
Apro, e vengo travolto da una ragazza, una piccoletta.
-Ahem, prego eh?
Lei si chiude la porta alle spalle. Ansima.
Lo sa che non parlo bene la lingua, e usa l’italiano.
Che gentilezza.
- La mia amica e suo marito stanno... snap, snap....
Non le viene la parola: litigando. La sua amica crede che suo marito ci provi con lei.
- È pazza, ubriaca! Posso fermarmi achì? Esta noche?
La guardo, mi guarda, guarda il letto, mi riguarda, la guardo.
Mi vien da sorridere.
Sento la sua amica che urla fuori dalla mia porta, la voce bassa del marito, il bambino che ormai è un fiume in piena di lacrime, un calipso che insiste furioso di sottofondo.
Ci ho un brivido.
E che cazzo, ma proprio stasera?
Sbuffo.
- No eh, dai, dai, su, su... vai a fare pace con la tua amica, che se no, poi...
Son cazzi.
Ma veri.
La spingo quasi fuori, rimango un attimo lì con loro quattro, cercano di tirarmi dentro in quella loro telenovela da quattro soldi, ma non parlo, annuisco, faccio cenno di no col capo, allargo le braccia, ancora no e poi no.
Poi chiudo la porta, ciao ciao, fate i bravi.

Yo soy la tierra de tus raices, el talismàn de tu piel lo dice, e lo ridice, l'hanno rimessa su.
Non ne posso più di fare l’immigrato in questa America ispanica che si è estesa per tutto il nord del continente, divorando USA e Canada come fossero ghiaccioli semisciolti.
Del resto dove altro potevo andare?
In mezzo ai musulmani dell’afroeuropa? In Medio Oriente?
In mezzo ai cinesi del resto del mondo? Dove?
No, per un italiano rimane solo l’America.
Yo soy la tierra de tus raíces: a ver que dices tú, insiste la canzone.
Sei la terra delle mie radici... e vuoi sapere che ti dico?
Che la bomba è pronta.
E domani, altro che festa del patrono… appena si accenderanno gli altoparlanti della piazza… me le strappo quelle radici.
Altro che musica, fuochi d’artificio, cori e casino, casino, fate sempre casino!
Ve lo do io il grande botto.
E poi la pace.
Finalmente.

Non ne posso più di questo rumore.

lunedì 13 settembre 2010

Paradormo.

Ho un sacco di idee da scrivere, tra le quali quella di non scrivere.

p.s. è solo un periodo di ultra-lavoro, arrivo a sera che le idee che dovrei elaborare e scrivere, le guardo, sbadiglio e vado a nanna... ma finisce e torno eh?