lunedì 1 marzo 2010

Gennaio sa aspettare.


Basta.
Sono vecchio.
Per questo mi apposto in questa soffitta.
Ho fatto le provviste, ho riempito la mia borraccia, ho preso una coperta per coprirmi.
Ho preso anche tanti libri per i momenti più duri, quelli in cui alla solitudine magari venga in mente di intagliarmi da dentro il mio tozzo di legno scuro, con il suo coltellaccio ruvido.
E ho pure la mia melodica, per soffiare le note che il mio cervello accumula nei momenti distratti.

Il mio cervello, la mia macchina da guerra.

Mi piaceva chiamarlo così, un tempo, quando smisi di fingere e ammisi di possedere una certa intelligenza. "Sufficientemente potente", almeno, come i sistemi formali a cui si applica il teorema di Gödel...

No, ho detto basta, e basta sia. Il treno di pensieri ha questa tendenza: mi sfugge di mano.
Ma adesso sto qui seduto, appoggio questa macchina da guerra sulle gambe, come un arco, la freccia incoccata, la corda a riposo.
Sto seduto e osservo.
Non ce la faccio più a corrergli a dietro.

Dalla finestra di questo abbaino fisso ogni angolo, ogni riflesso di queste dune candide che sono i tetti della città.
Antenne, ringhiere, vecchi pali per stendipanni arrugginiti, emergono come giunchi da una palude soffice, e il mio sguardo serpeggia tra loro, setaccia ogni pezza d'ombra azzurra che questo cielo limpido occhieggia sulla neve infinita.

Non mi sfuggirà.
Perché questa volta lo attendo.
Ho tutto quello che mi serve, ma soprattutto ho tante taniche di pazienza, ne ho fatto una scorta.
Attendo, aprendo tutte le finestre di questo palazzone ammuffito, scuro, polveroso, che sono diventato.
Percepisco.
Annuso l'afrore di acqua mista alle arance e alle mele, ghiacciata a mucchi laggiù sul marciapiedi, davanti al negozio dell'ortolano, tra le cassette esposte al gelo.
Sento un clacson offuscato. Qualcuno che, non appena è scattato il verde, là al semaforo che incrocia la circonvallazione, incita il piede di qualcun altro, poco reattivo sulla frizione, forse una donna che parla al cellulare, la preda preferita dell'automobilista con gli occhi arrossati dai venerdì che non arrivano mai.
Sento anche il mio corpo seduto, la gamba sinistra che formicola e che devo muovere, il piede sinistro che diventa più freddo del destro. Il dolore che sale dalla nuca, una lenta marea che allaga il mio cranio, che sgorga da una fitta e raggiunge l'occhio, a farlo bruciare, a fargli dimenticare il suo colore, bruno di tanti inverni, ubriacandolo con una sofferenza attuale, che se ne frega del passato. Anche, a tratti, bussa la caviglia di destra, lancinante, senza evidenti ragioni, un'estrazione fortunosa, come un lotto che ti urli gaudente che hai vinto un male cane, evviva, gioisci.

Ma non mi importa, e continuo a trafiggere con la mia concentrazione questo deserto irregolare dipinto di freddi accecanti.
Quando si farà vivo, non mi sfuggirà.
Mi lasciassi andare al riflesso meccanico da segaiolo mentale che prende per il culo la filosofia zen, potrei dire che "aspetto l'aspettare".
Ma no, non è così. Io do la caccia a qualcosa di concreto, luminoso e crudele.
Il cacciatore di città.
Chi caccia il cacciatore?
Tocca a me. Una vita a inseguire paradossi si paga duro. Mi sta bene.
Dimentico il mio cervello, il mio corpo, traslucido mi contorco in un altro me stesso, fatto di sola attenzione, nato per registrare ogni minimo accenno d'esistenza.
Registrare e stanare.

Passerà di qui, il bastardo.
Eh, se passerà.
Si staglierà nel biancore e poi nella trasparenza turchina del cielo, come un pennacchio di fumo esalato da un comignolo nero, salterà nell’aria graffiante, facendo brillare la sua armatura di ghiaccio contro il sole, frullerà come un falco gelido e tagliente, atterrando in bilico su uno spiovente, scivolando, guardandosi in torno, gli occhi vuoti, brandendo il suo fucile di sangue, frenerà con piedi di acciaio.
Alzerà una nube di neve.
Sarà l’innesco. Sgranchirò gli arti impolverati di sonno, sbufferò perdendo olio come un vecchio motore, ma raccoglierò l'arco, tenderò la corda, strizzando una palpebra, prenderò la mira, e...

Bisogna che mi calmi.
Non ho più le forze per andargli a dietro in questo modo.
La certezza, devo ritrovarla... tocco il manico consunto dell'arco e sì, eccola di nuovo.
Ci riuscirò.
Prima che venga il buio di Febbraio.
Prima che la pioggia sciolga la neve.
E questo nodo alla gola.

11 commenti:

Lindalov ha detto...

eh, nel tuo stato è normale; tra poco parlerai pure da solo.
Se non lo stai già facendo.

:D

simple ha detto...

Tutti i proprietari dei blog parliamo da soli sin dal primo post, Linda!
:D

lise.charmel ha detto...

anch'io avrei voglia di rintanarmi in soffitta coi libri

Claudio dei Norma ha detto...

Il primo pensiero è andato alle liriche di Fausto Rossi, il vecchio Faust'O degli anni ottanta, il secondo alla Leggenda Del Re Pescatore di Terry Gilliam.
Poi ho pensato che ti stavo facendo troppi complimenti, per cui mi sono chiesto se l'arco fosse un compound, un bow-arrow o.. no, di certo non l'arco di Herrigel.
La questione è che è vero, mi hai evocato proprio quei due grandi.
Che te lo dico a fare, Pepper.

Anonimo ha detto...

eh ma lo becchi, sicuro che lo becchi
te spetta solo il momento esatto che vedrai se non lo centri in pieno


bellissimo pezzo

c13

peppermind ha detto...

@Linda: Pfui, sonoa ncora un baldo giovine... dentro.
Poi come dice Simple...

@Simple: Ecco appunto, al sensazione è sempre quella, stringi stringi :)

@Lise: Orsaggine più libri, uno dei miei preferoni.

@Claudio: Eh, no, quello di Herrigel proprio no :P
Io mi annovero tra i filosofi occidentali, tutto da solo mi annovero, ma fa niente, e in quanto tale mal sopporto la filosofia zen, se non nei suoi aspetti heisenberghiani...
Grazie per i paragoni, veramente troppo buono.

@C13: e lo becco sì, possinammazzà...
(Grazie)

marlene ha detto...

Il paradosso dona un ghigno alla faccia ineguagliabile e che non ha prezzo.
A volta sembra che tu ti senta i piedi nel cemento ma non è così, viaggi anche da fermo.

peppermind ha detto...

@marlene: Paradossi ne ghigno a ripetizioni... e viaggi da fermo, aufff, praticamente pratico solo quelli, in pratica.

nemoravi ha detto...

Mi piace questa cosa che ti annoveri da solo! Quasi, quasi, comincio ad annoverarmi anche io! Non so dove eh, ma mi annovero appena posso! :)

Molto bello il tuo Gennaio, Peps. Originale lettura del mese da rileggere ;)

nemoravi ha detto...

Mi sono annoverata :)
Per ben 2 volte!

peppermind ha detto...

@VicKy: Grazie per il mensile :P
(Ti ho followato per il tuo autoannoverarti)