venerdì 17 dicembre 2010

Il Teorema della Merda.

Caro Pepper,

è un pezzo che non ti scrivo, perché so che non mi leggi. Nessuno lo fa veramente, del resto, nemmeno se ha gli occhi incollati alla pagina. Nemmeno tu, che fai tanto il figo.

Nel frattempo mi sono trasferito nel sottosuolo.

Prima stavo sui tetti, ma ora è troppo affollato, e lo sai che io vado dove nessuno vuole andare, è una roba automatica, mi ci ritrovo prima ancora di pensarci.

Qui sotto ci sono tutti i rifiuti di questa terra occupata, cessi, radio a transistor, telefoni… e anche televisori, un sacco di televisori, e ieri ne ho trovato uno che per sbaglio ci aveva il decoder che funzionava ancora.

Che robe: hanno ‘sta foga di buttare via tutto per comprare tutto, con agile scambio di segno e significato, tanto che poi si affrettano a buttare via il nuovo per far spazio... al nuovo.

Comunque, visto che c’ero, mi sono messo a scanalare ‘sto digitale terrestre.

Non ci crederai ma non c’era un cazzo di niente. Duecento canali, non finivano mai, eppure non c’era uno stracazzo di niente!

Il nulla.

Ci hanno regalato l’immagine digitale, alta definizione, senza sbavature: perfetta.

Ce l’hanno regalata a forza di calci nel culo, sì, ma tu fai finta di niente, e ricorda: è un regalo.

Ma per cosa?

Per non farci vedere niente, ma da dio.

Pubblicità di merda, sport di merda, talk show di merda, macchine di merda, film di merda, fighe e cazzi di merda, e facce, facce e ancora facce di merda.

Un nulla nitido e scintillante, ti ci accoccoli dentro e vaffanculo e ciao.

Se caghi in un cesso di lusso, tutto ceramiche firmate e rubinetti placcati, la puzza la senti lo stesso. Solo col tempo ti ci abitui e non senti più niente.

Ma se fai l’errore di uscire e rientrare... cesso di lusso o no, la puzza la senti di nuovo.

Fredda, stagnante, invisibile, ti penetra in silenzio. Come il vuoto che ti ha bucato già gli occhi: quei due fori bui da cui ti cola via l’anima.

E prima che ti sia gocciolata via tutta, ti ritrovi a sperare in dirette dal parlamento, botte, sangue, celerini infiltrati e città che bruciano.

Ci sentiamo, se non muori prima.

Dai sottosuoli occupati

Sempre non tuo

Ghost Mind

lunedì 13 dicembre 2010

Silverster e gia li, il nostro venire pillole

(presto, presto, SilveRster è già lì, il nostro ragazzo, il nostro avvenire in pillole, che orgollio per noi genitori!)

Ordina ora e salvare sul tuo farmaco! Vi auguriamo Buon Natale e Felice Anno Nuovo


(salvalo! salva SUL tuo farmaco, ma non esagerare che poi diventa molliccio! e di più non vi spiego questa battuta!)


Come Natale e venuta fino siamo felici di concedere uno speciale sconto del 20% su farmaci che si possono acquistare in EuroPharmacia.

(sorvolo su tutto ma un attimo di silenzio riflessivo sull'EuroPharmacia, che se era ChinoFarmacia chissà che cazzo ci scrivevano)

Non perdere la possibilita di acquistare prodotti farmaceutici moderno al Web di prezzi piu bassi! Prova il nostro servizio e ottenere la qualita che si meritano!


(prodotti moderno ma solo al web, perché in giro sono minghia ultraavveniristici, e mi raccomando: prova il servissio E il brivido di ottenere la qualità che tutti gli uomini di buona speransa, a Natalo, lorolì, essi si meritano)

Hasta lo SPAM, siempre!

venerdì 19 novembre 2010

Desert song.

Alle otto in punto, hanno detto.
Loro sono sempre stati precisissimi da quando sono arrivati.
Alieni. Anche in questo. Mai uno sgarro, una debolezza, una distrazione, un solletico in fondo allo stomaco che ti fa rimanere con la mano a mezz’aria, la parola sospesa, il sorriso che scivola leggero verso una fantasia, un ricordo, un desiderio… Loro sono proprio diversi da noi.
Hanno deciso che la Terra è malata e deve essere distrutta, e con lei i germi, i terrestri. Noi.
Impossibile fermarli, convincerli del contrario, combatterli o anche solo intralciarli.
Hanno detto alle otto, e così sarà.
Ognuno faccia quello che meglio crede, fino a quell’ora… non c’è altro da fare.

Io sono qui a fare quello che so fare: osservare queste astronavi, riprenderle, commentare gli ultimi battiti del cuore di questa umanità condannata a morte dalla Loro inumanità.
I miei figli sono qui con me, sul tetto del Matitone, stanno con la loro mamma, non mi chiedono niente, solo stanno con me, mentre preparo la digicamera, controllo che lo streaming web funzioni anche per quest’ultima ripresa.
Alzo gli occhi al cielo, le astronavi, nuvole metalliche che si perdono a vista d’occhio, nascondono il sole di questa giornata tersa, ignara di tutto, stupida nella sua bellezza. Fatte di una lega aliena, nessuno sa cosa sia, adesso affollano il nostro cielo, riflettono Genova e il mare.
La Genova capovolta e quella di sotto, sembrano un’infinita fila di denti che stanno per frantumarci tutti.
Mancano pochi minuti alle otto.
Accendo la digicamera, inizio l’ultima ripresa in diretta.
Parlo, non so bene cosa dico, le solite cose credo, con voce fredda, credo.
Stringo a me i miei figli con il braccio libero.
Lo specchio formato dalle pance delle navi sembra abbassarsi, inesorabile… non so come faranno a eliminarci per sempre, nessuno lo sa.
Taccio un attimo.
Poi mi sento cantare.
Già, faccio ciò che amo, fino alla fine.
Canto.

Portami a ballare
Lo so, non si può

Sarò bella come non sai
Avrò capelli biondi di pesca
Pelle che sa di mare
Mi vestirò di blu
di azzurro e di bianco
Aspetterò il tuo arrivo
Sbirciando dall’alto
I piedi abbronzati
le mattonelle fresche
Le gambe nude e la musica

Portami a ballare
Lo so, non si può

Sarò bella come il giorno
Ancora tua questa volta
Lasciami danzare
Con occhi della notte
E mani serene
Lasciami sognare
Orchestre di seta
Risate nascoste
Il tuo respiro nel collo
Che sei ancora qui

Portami a ballare
Lo so…



Mi interrompo, un nodo in gola.
Che silenzio, in tutto il mondo.
Mi hanno sentito tutti.
Arrossisco, anche se stiamo per morire.
La mia voce che rimbalzava sulle immagini.
Ma aspetta…
Strano.
Le otto sono passate, ma… strano.
Loro non sono mai in ritardo.

Che silenzio.

venerdì 5 novembre 2010

Net Mind.

Peppermind: Ehm… non so se… ci sei? Cioè, c’è? Qualcuno, dico.

Di là
:
(silenzio liscio, velluto di ghiaccio, ombra bruna infinita)

PM: Vabbe’, io dico quello che devo dire poi vedetevela tra voi che io non so mica qui se no. Mi hanno promosso. Non lavoro più all’helpdesk… dopo due mesi di duro lavoro mi hanno confermato: sono un tecnico network. Mai più mi toccherà sentire le scemate dei clienti, mai più ci ho il tostapane che fa contatto con il nervo sciatico non riesco a muovere il mouse quando che magno li tosti potete fare qualcosa come no prova cor pane de segale, segale in due quelle ditine che sennò te e spezzo io. Insomma, ora sono un vero tecnico informatico e quindi… me ne vado.

Di là: (risate spezzate, trattenute, cascate di singhiozzi leggeri, sembrano fiori di ciliegio mossi dal vento, il sole che passa tra i rami, ma poi tutto torna silenzio, una sala grande come una galassia, colma di eco profondo e notte)

PM
: Allora… so long… io… smetto qui.


Milk Mind: (un soffio, solletico dietro gli occhi)
Vai.
Sì.
Ora vai.
Tanto hai un patto.
Fare domande.

Cercare risposte.

Non.
Smetterai.

Mai.


Pepper Mind

Network Engineer

Internettoes S.p.a.

Via Lattea 8 - 20100 Milano

Phone +39 02 pissipissibaobao

E-mail noc@internettoes.it

lunedì 1 novembre 2010

Tuffo nel flou.

È un uomo qualunque, una vita normale, tra le tante.
Vive da solo, non ha mai avuto una relazione vera, i progetti, i desideri, quel futuro che fa parte di tutti i giorni, immaginato, masticato assieme, quello gli manca, ma resta una vita decente, emozioni, risate, amici, parole, amiche, sesso, affetto. Una vita che va bene così.
È un uomo qualunque, ma va bene così.

Sì, vero, a volte gli prende qualcosa dentro, ascolta tanta musica, ad alto volume, a occhi chiusi, dondola la testa, vola chissà dove.
Ma poi torna, perché va bene, è una vita qualunque, ma va bene, ci puoi tornare senza morire.

Però certe notti… certe notti sente qualcosa.
Allora esce e cammina, cammina, verso il mare, la spiaggia, poi il lungomare spazzato dalla solitudine, la carta straccia nel vento, un paese addormentato già da ore, i granelli di sabbia e sale sotto le scarpe, il bavero alzato, la testa bassa.
Arriva fino al molo, e cammina, cammina fino alla fine, dove ci sono gli scogli, il mare che sbadiglia la sua potenza d’inverno, il fragore, nebbia d’onde tra i capelli, urlo gutturale, immenso e scuro.
Si siede, guarda tutto quel nero, luci lontane, lampare, Arenzano seduta lì di fianco, a volte Genova in fondo al nulla, e si stringe stretto.
Immagina i figli che non ha. Le colazioni, le domeniche, il sole che fa brillare la tavola, sua moglie che sorride di nascosto. Si immagina seduto per terra che fa buffe costruzioni coi lego, suo figlio che ride, sua figlia che lo rimprovera perché non fa il serio.
Pensa che non li avrà mai.

Allora piange.
Inizia come un mugugno, tra il cuore e le costole, poi dilaga dalla bocca, a voce alta.
Le lacrime sulle labbra spaccate, la gola scorticata.
Piange forte.
Come un bambino.
Tanto nessuno lo sente.

martedì 12 ottobre 2010

L'uomo di Schrodinger.

Il mio mondo è nero.
Queste quattro mura sono nere, la mia aria è nera, la mia pelle è nera, come il tempo, immobile e nero.
Sono l’uomo di Schrodinger.
Non so quando, la mia memoria, anche lei, è inghiottita dal nero… ma un giorno accettai di entrare in questa catbox, questa scatola nera, una cabina attrezzata per l’esperimento del gatto di Schrodinger, perché… avevo un debito con la società. L’alternativa era la formattazione cerebrale… o il cervello rasato, o la catbox.
Il primo uomo nella catbox. Dopo l’homo sapiens, ecco il primo uomo di Schrodinger. Il primo che è vivo e anche morto.
Che evoluzione.
Volevano osservare cosa succede all’attività subatomica dei neuroni di un uomo che è vivo e morto assieme, ma poi…
Sono in questo posto senza luce, senza suono, senza calore, senza speranza. Una cavia dalle mani nere, il respiro nero, il sonno nero.

Mi annido qui in fondo, nel buio mi acquatto. Vi attendo, sospendo, neanche sospiro. Rintano qui in basso,appiattito qui al varco. Nell’angolo vivo, di freddo furore. Il tempo non cede al mio odio paziente. Inatteso vi aspetto, e sorrido, sorrido sguaiato.

Il mio presente è nero, il mio futuro è nero, e anche il mio passato marcisce nel nero, ogni giorno più nero.
Inizio a fare fatica a credere che la mia vita è fuori di qui, anzi, che abbia mai avuto un’altra vita che non fosse questa.
Sono nato nel nero, le mie radici sono nere, il mio pianto è nero, il mio ombelico è nero.
Ho pensato tanto, non ho altro da fare qui dentro.
I primi tempi mi stendevo su questo pavimento nero, e guardavo là in alto, dove un giorno si sarebbe aperto lo sportello, e la luce pian piano si sarebbe fatta strada, mi avrebbe coperto, scaldato, vestito… ma poi quella luce, anche quella… è diventata nera.
Allora ho pensato che forse la teoria ha una falla, che non ci sono solo due “me”, uno vivo e uno morto, che coesistono finché non viene aperta questa scatola, ma che ce ne sono infiniti… infiniti me che sono morti, infiniti me che sono ancora vivi, e non appena mi metti qui dentro tu crei queste infinite dimensioni in cui abitano questi infiniti me, che coesistono finché sto qui dentro e non mi osservi, ma poi…
Ma poi… in quale di queste dimensioni tu, aprendo la catbox, mi trovi, vivo o morto che io sia? In quale di tutte quelle infinite dimensioni che hai creato?
E se in un numero infinito dimensioni io esco di qui vivo ma in altrettante dimensioni non esco perché sono crepato? Che cazzo hai fatto a fare questo esperimento, eh?
Come potrai mai sapere tutti gli infiniti risultati, poi? In quelle dimensioni in cui sono vivo, secondo te che cosa è uscito di qui… quale cosa nera è strisciata fuori da qui, da me, che mi cresce dentro, ogni minuto nero che passo qui dentro, ogni battito nero, ogni lacrima nera che mi cola sul volto?

Nascosto, confuso di scuro, son pronto. Affilo i miei denti, i cattivi pensieri. Di silenzio è fatto il momento. Raccolto in un angolo, ascolto. Verrete, aprirete, e io sarò lì, esperimento riuscito, la scienza, la boria, e mille maniere per rendervi morti. A labbra conserte poi resterò, mirando il deserto di sangue che un tempo era voi.

La mia anima è nera. Muore di un veleno nero. Che non è quello del dispositivo subatomico che può scattare, o no, finché resto qui.
È sinuoso, muto, feroce e freddo. In agguato, nelle crepe del mio mondo, nero, di me stesso, nero.
Io sono anche nero.
Cosa uscirà, dove non muoio?
Cosa?

- Va bene, il grande momento è arrivato! Preparate gli elettrodi, monitor cerebrali pronti! Apriamo la catbox!
- Vediamo… vediamo… cosa abbiamo qui?

Io sono l’uomo di Schrodinger.
Io vi aspettavo da tanto...
Io: sono nero.

domenica 3 ottobre 2010

Epithymia. (HardTuba)

Buio.
Boccate calde.
Macchie leggere, di luce, monitor, lampada, scrivania, ditate, cenere, divano, crepe nel muro.
Ti calchi la tuba in testa.
Inizi.

Le mani sul body, sussurra il tessuto che pulsa di musica.
Un ritmo che è dolce, che è blu, di vetro che vibra.
Poi mani più giù, sui tuoi fianchi nudi, le cosce, le autoreggenti.
Soffio di carne, di macchie di luce, boccate di caldo, di scarpe col tacco.
Ti muovi, ti muovi, io vibro, tu vibri.
Curve di panna, fette di lampada, turgide, freddo di schermo, calda boccata, danzi, ti volti, ti pieghi, ti curvi, un filo di stoffa, le labbra, le chiappe, il naso che sfiora la pelle segreta, mi blocchi la mano che vuole la carne, il brivido fresco, e ti muovi.
Ti muovi.
Seno che ondeggia, capezzolo sfugge, mi tocca le labbra e ritrai, ritorna là sotto, quel bordo, a sudare, e via quella tuba, liberi riccioli, boccata di caldo nell’aria, sei lì, nel silenzio affamato, che pieghi una gamba, un arco di carne e saliva, la allarghi con gesto tranquillo, la posi col tacco sul braccio, il divano, ti apri sinuosa seguendo quel ritmo, sussulti, ti tendi, il profumo di fica che chiude i miei occhi, la mano che blocca il tuo piede dov’è, sento il nylon, rimani, le dita che affondano, natica nuda, il mio viso che morde il tuo succo che è sodo, ma tu ridi, divincoli, e muovi.
Ti muovi.
Ti allontani, sorriso puttana, il tuo culo sfiorato da luci affamate.
Ti giri, le tette scoperte, le mani, il buio sonoro, ricalchi la tuba, l’ombra sugli occhi, le gambe ora strette, struscianti, ti spogli, ti danzi e concedi, ti pieghi, vagina alla lingua, lo sguardo, la smania, il toccare, mani sporche da uomo su pelle tersa di donna, strizzare, succhiare, avere, godere.

Mi fai un gesto col dito: avvicinati, stronzo.
Mi alzo, ti seguo.
Cammini, sedere di latte, la schiena, i capelli, occhi verdi improvvisi, il tuo collo, la spalla, la guancia, son miei, sono notte, sono duro.
Sono tuo.

Sotto la tuba, solo scarpe col tacco.

martedì 21 settembre 2010

Fate silenzio.

A volte, guardando lo scorrere del tempo, si apre una finestra.
A volte la puoi anche scavalcare, oppure stare solo a vedere.
A volte però non sai mica dove finisci.


Non ne posso più di tutto questo rumore.

Cuando una noche de amor desesperados caigamos juntos y enredados, mentre sono al cesso che piscio, e sono le 5 di mattina, non dormo, ma non per questa musica che traspira dalla finestrella del bagno e dagli stipiti della porta di casa.
I vicini, argentini?, fanno bisboccia, sbadiglio, fa caldo, ho sonno, ma non posso dormire, dondolo il capo a ritmo mentre finisco.
Poi scherzano, parlano a voce altissima, volumi impossibili per me che sono di un altro tempo, ormai morto e sepolto, la musica che continua, cambiando canzone, qualcosa che non conosco, un pianoforte che segna il ritmo, e ancora gridolini di donna, anzi no, urla proprio, sembra che la stiano sgozzando, e pianti di bambino, un bambino sveglio alle 5?
Mi fermo ad ascoltare, devo uscire?

In Europa ognuno si faceva i cazzi suoi, si poteva morire senza che nessuno sapesse nulla per settimane… ma ormai non esiste più, è una casbah semidistrutta dalla guerra, che me lo dico a fare?

Origlio… una voce di maschio, quieta, e una di donna, disperata, arrabbiata?
Che cazzo succede lì fuori?
Poi mi viene un colpo, colpi, colpi, alla mia porta, pianto di bimbo: apro, e che cazzo, arrivo...
Corro in camera da letto, prendo tutto quello che riesco a prendere, bobine, fusibili, viti e cacciaviti, e sbatto tutto sotto il letto.
Questi ci hanno il sesto senso per le bombe.

- Fame entrare por favor...
- Eccomi…
Apro, e vengo travolto da una ragazza, una piccoletta.
-Ahem, prego eh?
Lei si chiude la porta alle spalle. Ansima.
Lo sa che non parlo bene la lingua, e usa l’italiano.
Che gentilezza.
- La mia amica e suo marito stanno... snap, snap....
Non le viene la parola: litigando. La sua amica crede che suo marito ci provi con lei.
- È pazza, ubriaca! Posso fermarmi achì? Esta noche?
La guardo, mi guarda, guarda il letto, mi riguarda, la guardo.
Mi vien da sorridere.
Sento la sua amica che urla fuori dalla mia porta, la voce bassa del marito, il bambino che ormai è un fiume in piena di lacrime, un calipso che insiste furioso di sottofondo.
Ci ho un brivido.
E che cazzo, ma proprio stasera?
Sbuffo.
- No eh, dai, dai, su, su... vai a fare pace con la tua amica, che se no, poi...
Son cazzi.
Ma veri.
La spingo quasi fuori, rimango un attimo lì con loro quattro, cercano di tirarmi dentro in quella loro telenovela da quattro soldi, ma non parlo, annuisco, faccio cenno di no col capo, allargo le braccia, ancora no e poi no.
Poi chiudo la porta, ciao ciao, fate i bravi.

Yo soy la tierra de tus raices, el talismàn de tu piel lo dice, e lo ridice, l'hanno rimessa su.
Non ne posso più di fare l’immigrato in questa America ispanica che si è estesa per tutto il nord del continente, divorando USA e Canada come fossero ghiaccioli semisciolti.
Del resto dove altro potevo andare?
In mezzo ai musulmani dell’afroeuropa? In Medio Oriente?
In mezzo ai cinesi del resto del mondo? Dove?
No, per un italiano rimane solo l’America.
Yo soy la tierra de tus raíces: a ver que dices tú, insiste la canzone.
Sei la terra delle mie radici... e vuoi sapere che ti dico?
Che la bomba è pronta.
E domani, altro che festa del patrono… appena si accenderanno gli altoparlanti della piazza… me le strappo quelle radici.
Altro che musica, fuochi d’artificio, cori e casino, casino, fate sempre casino!
Ve lo do io il grande botto.
E poi la pace.
Finalmente.

Non ne posso più di questo rumore.

lunedì 13 settembre 2010

Paradormo.

Ho un sacco di idee da scrivere, tra le quali quella di non scrivere.

p.s. è solo un periodo di ultra-lavoro, arrivo a sera che le idee che dovrei elaborare e scrivere, le guardo, sbadiglio e vado a nanna... ma finisce e torno eh?

giovedì 26 agosto 2010

Luglio dissolve.



Cielo basso, madido, inzuppa palpebre e sbadigli, e non ci vedo più bene.
Al canale giusto devi sintonizzarti, ma non riesco, mi sgancio, vago, me ne vado a occhi in su, cambio senza accorgermene, senza aria condizionata, giacchecravatta, gentechenonsiconosce... è meglio non guardarlo, questo canale qui, lo so.
Ma così capita, quando vedo luce tramontare su barbe sfatte, palazzi lucidi, e in fondo a un viale grigio candido, sento le mamme ancora in costume, i bambini e le maschere da sub, la polvere, i sassi bianchi...
Ma no, no, ma no, lo so che là c'è solo stazione Garibaldi, spifferi di povertà, sporco, vite invisibili, cambia canale, cambia, ritorna, torna tra loro.

Questo dolore nelle ossa, muscoli, pensieri, un fischio costante, dice che devi staccare, basta lavorare, ora dormi bel fiulett, fai la ninna.
Per quello ho sabbia agli angoli degli occhi, tra dita di piedi, corro che scotta, ma no, no, ma no... sono sul marciapiede, guarda, lì c'è una bella merda di cane, poi mozziconi di sigarette, truppa sbarcata da posacenere d’auto, via!, rompere le righe!, nessuna sabbia, da nessuna parte... nella tua vita, da nessuna parte c'è il mare, cambia, torna di qui.

Nemmeno di notte, quando ondeggia solitudine, finestre ancora accese, semafori che parlano al vuoto, toglie peso alle tempie, nemmeno di notte c’è il mare, in questa città così stanca, stesa sul fianco, che sviene, e nessuno in giro, nessuno, dove vuoi andare, ritorna.

Deve essere per quello, sì.
Non riesco a tornare.

Bene.
Se non ci riesci, allora vai.
Un passo dopo l’altro, così, risacca scura che bagna caviglie, poi ginocchia, e son dentro, fin al torace.
Continuo?
Eh sì.
Vado, per forza, io vado.
Senza voltarmi, nemmeno un saluto.
Dentro, mi immergo.
Fino al collo.

Perché c'è.
Questo mare.
Là in fondo, a fine discesa, tra piazze, zingari e binari del tram.
Croste d'asfalto, parchi vuoti e platani secchi.
C’è.
Non mi volto, no, no.
Continuo.
Son sotto.
Scompaio.

Di nero ora brillo.

Affanculo anche Agosto.


mercoledì 18 agosto 2010

Impossibile saggezza...

Oggi mi volevo fare del male, così, di primo mattino, appena assittato in quel dell'ufficio help-desk.
Mi entra l'Impossible Man, e subito lo apostrofo:


Peppermind: Ehilà!
Hai visto?

È morto Cossiga!

(attesa...)

Impossible: Vabbe', era vecchio.

(delusione... ma ancora attesa...)

Peppermind
: ...


Impossible
: ...


Peppermind: Tutto qui?

Impossible: Piuttosto: è morto anche Pertini!

Ah, ecco.

sabato 14 agosto 2010

Quarkettoes: L'estinzione del tuttofare della dittà. (ultima puntata)

Buonasera a tutti i seguitori di Quarkettoes!
Ultima puntata dedicata all’enigma scientifico incarnito, o anche incarnato, dall’estinzione del tuttofare della dittà!
Punti esclamativi a spiovere!!!
Vi ricordate le precedenti puntate? Sì?
Allora bando alle ciance!
Via!!!

Mail del 25 agosto 2005

Oggetto: programma orario di oggi

ciao a tutti: emma, mary-jane, betty oggi sono in ufficio mattinata ovvio
pero (e uno) che alle 12:00 vado via. non oho (la acca va prima o va dopo? Boh, mettiamola in mezzo che tanto méson te kai áriston) con me il cellulare purtroppo
dimenticato. ciaoooo scappo HO dafare (perché uno ci ha del dafare o non ci ha del dafare, e se cell’ha ha del dafarismo in corso, ed è tuto in-dafarato) wilson

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Mail del 26 agosto 2005

Oggetto: presenza oggi

Saro (e due) in ufficio nel pomeriggio dopo la pausa pranzo.

Grazie Betty: si ho notato che c'è un qualcosa che ostruisce tappa (ostruisce e/o tappa?) il lavabo (qui ci vuole un "che"?) adesso sgorga pero (e tre! Ok, non gli piace la “o” accentata, agli atti!) è ancora dentro appena mi viene in mente un'idea o (e/o) un utensile adatto lo estirperò. (mi piace questa immagine del Wilson tutto maschio, maniche rimboccate, tutto muscoli e vene che pulsano, che estirpa la poltiglia vomitosa che intasa il lavandino e la alza vittorioso al cielo… oh, mio eroeh, ci ho le caldane)

Poi riallacciando la ultima comunicato (ultima comunicatio? Osti ci diamo al latinismo come se fossero noccioline) e mail (e/o mail? Ahhh, questo uso disinvolto delle congiunzioni rimarrà un enigma) di Emma, grazie.

Io per la verità in passato mi accordai un po (se metteva la “o” accentata qui mi buttavo in Lambro) con tutti; ogni tanto lo faccio, lo sanno già, (attenzione, da qui in poi leggere con attenzione) ho sempre detto specie a coloro che hanno quasi sempre la scrivani piena di documenti che temono di non trovarsi poi il giorno seguente, possono tranquillamente decidere quando potrò intervenire qualora volessero rispolverare la postazione. Poi ci sono quelli addirittura che
come me preferiscono farlo da se cioè con le proprie mani.
(tutto chiaro? Ditemi quando posso pulirvi le vostre fottute scrivanie, oppure pulitevele anche da soli, eh?)

ciao wilspn (sì, con la “p”)

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Mail del 23 settembre 2005

Oggetto: sifone - wc

Lavandino funziona sifone cambiato. (stop)

Stamattina non ci sono. (stop)
Ci vediamo o sentiamo buonagiornata (stop)

Wilson
(e stop)

E questa, amicicioni, era l’ultima mail pergiuntaci… pervenci… vabbe’, chi va col Deadpool, come si dice…
Dopo di ciò, il buio.
Deadpool sparisce.
Che cosa sarà successo?
Da quel che si può evincere dal carteggio, la sua nemesi pare essere la Regina Bianca, più che altro… che amabilmente denominò “nostra signora degli insolventi”, lampo di genio tra tanti di cui ci fece omaggio.
La solita storia: niente contratto, soldi in nero, e anche pochi e sospirati. Ergo: rottura dei rapporti, male parole che volano, coppini e vecchie a tradimento, io ti licenzio, no ti licenzio io, cioévolevodire, MI licenzio io, porte sbattute, possibilmente con delle teste casualmente poggiate sullo stipite...
Ovviamente: nessuna comunicazione ufficiale.

Concludiamo con le parole del nostro intramontabile eroe, il Deadpool:
l’Internettoes Spa, questa piccola unione sovietica “che ci piaciue tantoo”.

Ci vediamo o sentiamo buonagiornata
Peppe Angela

domenica 1 agosto 2010

Giugno sempre.


Le camminate, andiamo a esplorare, sulle salite liguri, senti l’albicocca del contadino com’è buona, i piedi abbronzati negli zoccoli che fanno quel rumore di legno solo se sai come camminare, oggi il mare è blu vento, continuiamo che si arriva a Sanda e se vai più su c’è Sassello, è c’è fresco, quasi freddo, anche adesso, che c’è caldo, c’è l’erba, e le risate delle ragazze di Giugno.

Sei lì davanti al getto, calore e camicia sudata, e i tetti gialli di afa…

La casa buia che ha un odore d’estate, di nonni che non vanno mai al mare, di pavimenti passati con la lucidatrice prima di partire, di stomaco che si chiude, mangiamo solo cose fredde, poi dobbiamo ripartire, tornare sull’autostrada che sbuca dal monte e ti tuffi di già, aspetti l’uscita, il tunnel e quella curva che non finisce mai, e sbuchi in pineta, e ti aspettano tutti, la crocetta, il croccante, la focaccia e prosciutto, e fumare, e le chiacchiere degli amici di Giugno.

… i calzoni sbattono, quel soffio rovente, i capelli fradici e sole…

Il corpo bagnato, i cavalloni coi sassi, le grida di sfida, le cosce di donna che sanno di sale, il bagno vestiti, le piste di sabbia, le biglie, Bitossi e Boifava, le partite là al campo, di sotto i pilastri, il tifo delle ragazze, se segni o ti sbucci, e la sera hai un’aria da eroe, il gelato, le birre, le sbronze e il futuro degli occhi di Giugno.

… e sei fermo.
Di fronte a quel muro e a quel condizionatore.
Ustiona il tuo viso, sei fermo e lo fissi, schiaffeggia i vestiti pesanti, sporchi e stanchezza.
Chiudi le palpebre, che grande fatica, riapri, richiudi, riapri, fatica.
Quel torrente di vapore ti strappa, percuote, barcolli, le braccia cadenti, le gambe di pasta.
Guardi di lato, più giù, discesa di pareti, slavate di luce, di fumo, vapore, e alberi secchi, terrazze, poi piazze, poi viali e cabine di autobus di questa città.
Poi respiri, boccata bollente, e curvi, vai su… eccolo là, il tuo cielo di Giugno.

E lo sai.
Lo sai col sorriso di Giugno.
Dai le spalle a quell’aria incazzata che chissà quale ufficio ti sputa, ti ingolfa il colletto, la schiena e i tuoi passi.
Lo sai che Luglio poi arriva.
Ma per te sarà Giugno.

giovedì 29 luglio 2010

Humor grigio #16 (pillole amare)

Eccovi un pastiglione infrasettimanale, giusto per rovinarvi la digestione del quasi venerdì.
Non dite che non vi regalo mai niente.


Bruce Banne
r: Reed (Mr Fantastic), ma tu sei buono come Gandhi!


Impossible
Man: Reed... tu gandi?


Se non avete capito, meglio: la vita è bella quando non capisci l'impossiblella. È quando la capisci che vedi il mondo a neri strisci.

domenica 25 luglio 2010

Paraddosso.

Sono me stesso quando non sono me stesso.

mercoledì 21 luglio 2010

Faccende domestiche.


Odiava lavare i pavimenti.
Odiava tutti i lavori di casa. I sanitari, la stupida moquette, non aveva voluto toglierla appena arrivato, e ora era un nido di peli, briciole, che non aveva mai voglia di passare all'aspirapolvere. La cucina, i vetri delle finestre, la patina di nicotina che si accumulava.
Odiava dovercisi dedicare, a 'ste cose.
Ma i pavimenti erano il peggio.
Sudava come una cisterna indiana, vedeva le goccioline che si schiantavano sul pavimento umido di mocio appena passato, poi ripassava il mocio, su e poi giù, su e poi giù, spostandosi orizzontalmente, e goccia, mocio su, goccia, mocio giù, goccia, su, goccia, giù.
Era metodico almeno.
Ma stancante, poi tremava di fatica, il corpo lucido d’umidore, quando finiva, la sigaretta tra le dita vibrava mentre aspirava.
Ma oggi gli toccava farlo.
Lavare quel pavimento.
Mattonelle arancioni, tutte rovinate da sfregi, ammaccature, che davano sempre l'impressione che era rimasto qualche peluco, qualche agglomerato di schifo, anche dopo la pulitura a fondo, rettangoli uno dopo l'altro, e lava, lava, mocio su, goccia, mocio giù, sembravano non finire mai.
Eppure si trattava solo di cucina e bagno, visto che in sala c'era la moquette.
Ma non finivano mai, quei rettangoli.
E gli toccava proprio farlo, 'sta volta.
Lo odiava, e doveva farlo.
Era già la terza volta di seguito che ripassava quella superficie dall'aria tonta, grossolana.
Perché le prime due volte, quando si era asciugata, quel colore fesso, era... più ruggine, che arancio.
E allora aveva ricominciato, lavato una seconda volta, e ora una terza.
Sfrega, mocio su, goccia, mocio giù, goccia, sfrega, mocio su e mocio giù.
Gambe che tremano, braccia che tremano, vista un po' appannata.
Ma l'aveva sgozzata così, tutto d’un botto, mentre si lamentava che faceva caldo, si lamentava sempre, sempre, sempre e sempre, e lui zitto, e che caldo che faceva in quella casa, e che non sopportava il contatto con una maglietta, e figurati addirittura scopare, e lui zitto, e perché non ti sei comprato il condizionatore?, e perché non almeno un ventilatore?, e sei pigro, e non fai mai niente, e lui zitto, e che caldo in questa casa, e ancora, e ancora, tutte le volte che veniva lì, sempre e sempre così, e lui zitto, e allora sai che c’è?, adesso vattene affanculo tutto d’un botto: l'aveva sgozzata così, su due piedi.
Quindi ora gli toccava proprio.
Si era avvicinato con calma, da dietro, un soffio secco, una mossa da artista di circo, spettacolare, teatrale, prima il braccio sinistro a circondarla, tenendole dolcemente le spalle, e lei che si zittiva, ma come, ti dico che fa caldo e mi abbracci?, e poi la mano destra che veloce le tagliava la gola, da sinistra verso destra, il grattare della lama sulla pelle che si sfalda, continuando il tragitto, amplificato di spalla, un'apertura alare, un getto fluido, denso, lo schioccare lascivo di liquido su materiali lucidi, uno scroscio di pisciata su plastica dura, e il braccio disteso nella sua lunghezza da palcoscenico, col coltello seghettato ancora in pugno, il corpo lasciato libero dall’abbraccio, il suo rumore di uova spiaccicate al suolo, et voilà mesdames et messieurs!, applausi, applausi per Dio!, e giù inchino.
Applausi, sipario.

Quindi poi aveva dovuto buttarla via, materiale da scena inservibile.
Buttarla insieme alle sue cose che si portava dietro quando si fermava da lui, buttarla dentro un cassonetto a isolati di distanza.
Dentro la notte deserta di città.
Una palla, ma niente in confronto a tutto quel cazzo di sangue.
Odiava lavare i pavimenti, ma ‘sta volta doveva proprio farlo.

Ecco, ora aveva finito di ripassare le stronzissime mattonelle arancioidi.
Per la terza vaffanculissima volta.

Ma niente: dopo venti minuti di tremori, sigaretta, acqua per reidratarsi, quell’idea di ruggine era ancora lì.
Per rettangoli e rettangoli, all'infinito.
Non se n’era andata nemmeno ‘sta volta.
Niente… altro secchio, altro giro: di nuovo a cercare di lavarlo via, quel sangue.
Certo che però… Uno fa uno, dico un gesto teatrale, ma uno solo!
Uno unissimo nella vita!
E che cazzo, ma ti pare che lo deve pagare così?
Poi dice che la gente non va più a teatro.

E vabbe’, al lavoro.
Mocio su, goccia, mocio giù.
Goccia.

sabato 17 luglio 2010

Humor grigio #16 (pillole amare)

Impossible Man è partito, era uno, non cercarlo quaggiù, se c’è stato è cascato, spappolato nel blu!
Vabbe’, è in ferie, via.
MA: si è peritato di inviarmi missiva che raccoglie le sue bat tute (proprio così le noma, BAT TUTE, rubate a BAT MAN, sic, ventata di aria fresca), perché vogliamaiddio che qualcuna me la perdo, e lui me ne sostenta prontamente!
Quindi, vergate manu propria, ora le contemplo tra l’ammirato e lo stirato.
E ve le propino una ad una, in pillole.
L’amaro boccone.

Bruce Banner: Impossible… Hai le forbici?

Impossible: Sì, ma le usano soprattutto i ciclisti... for bici!

Rebus: immagine della targa di Varese, lettera EFFE, immagine di un sostenitore accanito, immagine di un retro-sotto-busto.

martedì 13 luglio 2010

Musica da cortile.


Mi fanno male gli occhi, mi concentro sulla traduzione, sullo schermo.
Finestre aperte, mezzogiorno di domenica: rimbalza dentro casa, sui mobili, rotola sulla scrivania, il tonsillare di Gigi D'Alessio, più e più volte, diverse canzoni, mai sentite, e si accompagna a singhiozzo una voce di donna, calda, roca, niente male, ma stonata.
Sbuffo, mi massaggio tra occhi e naso, scelgo l'mp3 giusto: gli sparo a 10 i Sepultura, glieli erutto fuori.
Tutti gli uomini suonano a dieci.
Se non puoi farteli amici, combattili.

Cammino nel vialetto del cortile, mi sembra quasi di lasciare muri di calore ai miei fianchi, alti, traslucidi, ipnosi da caldo assolato.
Raggi eterei di musica aliena reticolano di fronte a me. Rallento il passo, mi fermo, alzo il capo a cercare la finestra.
Il sassofono (tenore... sì, tenore secondo me) tesse la sua tela di arpeggi semidiminuiti.
Attraverso la rete di note in punta di piedi, surreale, geometrie ellittiche, sorridendo a quel richiamo di altre dimensioni.

Alle sei di mattina c'è un altro merengue, quando mi tolgo la cuffia, tanto è sabato, domani non faccio niente, posso guardare film all'infinito.
Poi finisce, le risate, frasi ad alta voce di maschio spagnolo, scrosci di urla polifoniche, le risate ancora le risate di femmine sudamericane, spiovono, perforano letto e divano, picchiano duro, accoltellano, feriscono occhi e stomaco.
- Basta! Dobbiamo dormire!
Un attimo di silenzio, dopo l'ennesimo sbottare di anziana esasperata.
- Segnorra se vede che non è mai stata giovane!
La donna del capo, i suppose, e le risate, le risate dietro di lei.
Com'è che nessuno chiama la polizia, mi chiedo, saranno pericolosi, mi rispondo.
Esito un attimo a rimettermi le cuffie verso un altro film, inizia una salsa calipsata mica male, con dei nachos e del chili, viene fame se ci pensi.
Mi accendo una sigaretta.

Davanti al computer, scelgo quale telefilm guardare.
Cristalleria di metallo, una filastrocca di pianoforte marcia composta come tanti soldatini di piombo che scendono dall'alto, entrano dalla mia finestra, luccicano al sole che passa tra le foglie dell'albero, un due, un due, siamo We are the champions dei Queen, per l'ennesima volta riprovata, con i soliti errori, le solite crepe che cigolano l'esecuzione rigida come una pianola a manovella.
Sorrido, suonala ancora Sam.
Che comunque ci piace, ci spensiera, annuisce la gatta.

Chiudo il getto d'acqua della doccia.
Mi infilo l'accappatoio, mi sfrego i capelli nel cappuccio.
Appena smetto l'aria calda del bagno viene levigata dal filo corposo di un violoncello.
Vola, si scioglie, respirando da ogni poro che riesce a trovare per entrare da me, e uscire, e volare ancora, verso il cielo dell'estate.
Esco dal bagno, mi accosto alle persiane chiuse della cucina.
Chissà chi sei, tra tutte queste facce disperse, sportine della spesa, zaini, cazzuole e ventiquattrore, chi sei tu, angelo di ringhiera.
Chiudo gli occhi, annuso le volute armoniche, il vibrare e il levarsi.
La gatta sul davanzale, rimaniamo così.
Appesi a questo aquilone di luce.

mercoledì 7 luglio 2010

#ViolenceInRome (R(h)umor di manganellate e sangue).

Finalmente chiarito il mistero dell'elmetto rosso!

Quando si va tra terremotati, meglio proteggersi dall'imminente caduta manganelli.

Il premierabile ricaricabile più saggio e previdente della storia della repubblica, nella foto stava dicendo all'anziana signora: quando arrivano le sagge e lungimiranti forze della polizia, mi raccomando, mostri questo lato della faccia, che viene meglio.

Tutti i dettagli di questa saggia e felice giornata per l'Italia intera li potrete trovare in questo articolo, che è un po' comunista di merda, ma insomma, non si può avere tutto:


sabato 3 luglio 2010

Quarkettoes: L'estinzione del tuttofare della dittà. (p. 3)

Buonasera amici,
ergosi che caldeggia calura e tennici ch’appongano lo giusto testo sur lo gobbo ch’io leggo esser non parvi, dirado le ciance e protraggo il palinsesto del carteggio Deadpool-Internettoes, nel desio di coglier lucore nell’ennimmatica vicenda dell’estinzione del suddetto, la cui precedenza puntatale trovereste nelle parti uno e due previamente postate.

S’apra la danza:

Mail del 22 giugno 2005

Oggetto: wc ripristinto (era estinto, ora… oh, whatever)

WC verde ora funziona
(a uno gli viene da pensare: semaforo verde per la cacca!)

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Mail del 27 giugno 2005

Oggetto: Pitturafresca

ATTENZIONE!

nontoccate il muro dove c'è il cestino di fianco il distributore della
cocacola e soprattuto non fare nulla su quel pezzo di muro per oggi.
grazie Wilson
(a un altro invece gli viene da istupidirsi: ma su quel pezzo di muro quante cose al mondo puoi fare, costruire, inventare, ma trova un minuto per me?)

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Mail del 12 luglio 2005

Oggetto: tessra per entrare

c'è qualcuno in ufficio, mi puo aprire?

non trovo il beg grazie wilson

(beg? beg your pardon? Ma no, ma no, miei piccoli coworkerini, trattasi di BADGE… sic. Mi piace immaginarmi il Deadpool davanti al computer di casa che scrive la mail e poi si affretta a raggiungere la ditta nella speranza di trovare il portone uverto)

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Mail del 22 luglio 2005

Oggetto: pianta reception

Ciao a tutti - non è una comunicazione per tutti (allora ciao ad alcuni?) giusto a qualcuno quindi
rendo partecipe 1po (sottotitolo: un po’) tutti ma niente di particolare ed è quanto segue:

Ecco dunque, attenzione alla pianta adiacente (scelta di termine deliziosa, niente da dire) porta d'ingresso,
trapiantandola ho visto che era inzuppata d'acqua. Poi vabè adesso è
apposto, (per forza l'ho ripiantata) (sottotitolo: grazie al cazzo) il sottovaso è divenuto vaso quindi ha
il buco ecc. (leggesi: mutatis mutandis, il sottovaso ha acquisito le caratteristiche vaso-fattive)

Grazie a tutti.

vorei dire anche: il WC non è molto distante dalla reception! (non pisciate quindi nella pianta? BOH!)
Ciao Mary-Jane grazie ops scusa... ho fatto il tuo nome! Ma si dai, lo so è colpa
di quest'accidia che ci piaciue taantoo. (istupiditevi tutti al mio via… VIA!)


Visto che oggi le avevi a pranzo... potevi lasciarmi una mela da mettere in
bocca?
Egoist...!
(glom… che sopraffina allusione arcoidale alla suzione del seno centralinistico?)


Ovviamente tu sai, ("sei punita") che scherzo... smack!
il tuo collega di fiducia Wil
ciaociaooo

E quivi porgo l’occasione di congedo!
Alla prossima e ultima puntata di cotesto roboante carteggio!
Ciaociaooo dal vostro
Peppe Angela

martedì 29 giugno 2010

Maggio trabocca.


È tempo!
È tempo!
Forza! Infila quegli stivalacci di gomma verde, con la para, come si diceva quando eravamo piccoli e andavamo nei cortili pieni di sassi di fianco alle chiese, a giocare coi palloni di gomma che con un calcio forte tornavano quasi indietro tanto erano leggeri, consunti, volatili, e corrergli a dietro a stormi, che nei campi di calcio veri ci giocavano quelli grandi, con le magliette fighe, i pantaloncini, le scarpe coi chiodi e con tutto, mentre a noi solo suole col carrarmato e ginocchia sbucciate.

È tempo!
Forza! Coi pantaloni dentro gli stivali, quell’effetto da pescatore, e con la camicia a quadroni, le bretelle, i capelli lunghi e la barba imbiondita dai primi pomeriggi a picco, la pelle arrossata e l’occhio lucido, e via per viali e marciapiedi, che c’è il raccolto che aspetta!

Lo senti il profumo di merda e frutta, vento e caldo, che sale dai canali là in fondo, dietro i campi di grano, le risaie, i tombini i palazzi di vetro attraversati da larghi rasoi di tramonto, stop che scintillano nelle notti come la brace su cui poi griglieremo bistecche, salamelle e caciotte che diventano molli, e son calde, e son buone.
Lo senti quel cielo afoso d’azzurro, di terra morente, bacche spappolate da zoccoli di cavallo, piscio di cane messo a seccare su lamiere già sporche e centraline elettriche, falene bruciate dai neon marci di rosa, graffi di nubi nere nelle bocche arrossate, riflessi e pozzanghere.
È tempo!
È tempo!

Scendi a valle con me, seguimi in quest’orgia indaffarata di giorni più lunghi.
Vieni a coglier lampioni rotondi e maturi, a gettarli in carrelli da spesa, vasche in cemento e scavatrici.
Vieni a mieter parchimetri, paracarri, ringhiere e cartelli stradali, a riporli negli autobus, nelle betoniere, metropolitane e passanti, sui cavalcavia, tangenziali e tratte veloci veloci, così poi li portiamo allo stadio, alle rimesse, o nei sottoscala che sanno di polvere fresca, e lì li mettiamo ad attendere inverno.
Vieni a domare le auto, le moto, i camion, i treni e i trasporti speciali, cavalcando le bici spingiamoli a formar branco, a suon di bloster sui parabrezza, megafoni, gps e blue tooth, incitiamoli a correr lungo i navigli, in circolo nelle piazze, nei controviali alberati, e poi ancora più oltre, più giù, andiamo più giù, verso i recinti, le vacanze di mare, di sabbia, palette e secchielli, costumi, erezioni ed oli abbronzanti.

Perché lo senti che c’è rumore di sole.
È tempo, vieni, fai in fretta, che Giugno ci insegue!

giovedì 24 giugno 2010

Ermetica Mente: Fuori dai mondiali.

E ora con la "vuvuzuela" che ci fai?

Indovina.

Corollario Darkmind:
Hai una vuvuzuela sotto mano?
Vieni qui che te lo spiego...

martedì 22 giugno 2010

Lo sgabuzzino cinese (3)

Cari discepoli-buddha, inforcate occhiali-buddha con la montatura-buddha, mettete le pantofole-con-la-faccia-di-buddha, gatti e cani-buddha al seguito, e riprendiamo lettura e meditazione del libretto sacro dell'elettrodomestico-buddha, detto anche il soffiatore, fu fu fu (rumore di soffio che accompagna una mossa dell’arte marziale cin cian giuan luis, cioé servire in tre rapidi e secchi movimenti un bianchino alle 9 di mattina).
Oggi si mediterà sull'Usare.
Mica cazzi e carote, mica uno mi medita sul fare, baciare lettera o testamento, qui si medita sull'USARE, sem minga chì a meditare sulle bambole, veh.

Usare
1. Per favore di controllare la
pressione di presa è se (se cosa?, se telefonando? Ah, che roba, mi commuovo...) accordare con la pressione di questo prodotto prima dell'uso (comunque ho una pressione di presa fortissima io, spappolo le nespole così, snap, spapps).

2. Ci può essere parecchi fumo spruzzato fuori da quando il primo uso (sempre parecchi oi fumoi, alla greca, da quando il primo uso, per questo si dice che "primo uso non scorda mai", non esiste provare, esiste usare), ma non significa il danno, senza qualunque pericoloso (no, di certo no, se il soffiatore emette un fumo denso che ti viene in mente subito la ridente cittadina di Seveso, stai tranquillo, respira a pieni polomoni, e vai, vai!, che non significa il danno, senza qualunque pericoloso!).

3. L'interruttore accantona (ooohhh...) può essere aggiustato al più alto quando i suoi capelli è bagnati (l'interuttore accantona... ri-ohhh... è un interruttore di chiara natura BUDDHA? Lo aggiusto al più alto, non sia mai che mi areni così sulla strada dell'illuminazione, o della morte per avvelenamento chimico, va bene lo stesso).

4. Lei farebbe meglio aggiusta l'accantona per abbassare un se i suoi capelli è secchi o facilmente danneggiati (lei chi? Dai, ci diamo del tu, ormai, no? Oh mio santone preferone? Comunque accorro ad aggiusta l'accantona, vuoi mai che un se i miei capelli è secchi o facilmente danneggiati, son mica cose da rischiarsi così, uè, facia de stupid).

5. Non per raggiungere l'effetto migliore (giustamente, la strada è ardua, niente è facilitato con effetti migliori, ma solo peggiori, STOLTI, meditate!), la distanza tra il soffiatore ed i suoi capelli dovrebbe essere più grande di 100 millimetro (anche perché più piccolo di 100 millimetro... cioé... mi prostro e taccio invece di parlare parole tutte parolate), il docente universitario colpo a un luogo per il tempo lungo (glom... il docente universitario? Mi passa un brivido lungo la schiena... soprattutto se costui, oltre a comparire dal nulla, in armonia col contesto quanto un Calderoli in completo a festa tirolese in mezzo ai tifosi sudafricani, mi fa pure un colpo a un luogo per il tempo lungo! Anch'egli è edotto dell'antica arte del cin cian giuan luis? Rabbrividiamo), soffia i suoi capelli col trasloco continuo per evitare il danno ai capelli (certo, su, si capisce, questo docente soffia i suoi capelli col trasloco continuo, ovvio, chiaro, dai, smettila di guardarmi così, è chiaro, no? NO? Ho paura!).

Ora effettuate una pressione di presa sulle nespole... fatto? Hanno fatto snap e poi SPAPPS?
Bene.
Ora immergetevi nei parecchi fumo spruzzato fuori da quando il primo uso.
Fatto?
Vi è cresciuto il terzo occhio (per via della diossina, mica per la meditazione)?
Ok.
Ora aggiustate l'interruttore accantona per abbassare un se.
Fatto?
Tutto accantonato, cognata, suocera, filippino che ti vuole vendere le rose mentre la tua ragazza sta scappando con un attore porno afro-americano?
L'interruttore accantona... accantona ‘o veramente?
E che figata è, eh?

Prima che spunti fuori il docente universitario con la sua mossa segreta del colpo a un luogo per il tempo lungo, fu fu fu, lasciatemi usare l'interruttore accantona, vah.

Clic.

(to be continued, ovèro, per essere continuato, direbbi il santone nello sgabuzzino)