lunedì 19 novembre 2012

Va bene, mi sveglio.

Mi fa male?
No, è passato. Nel mio passato. Andato.

Mi fa bene?
Sì.
Me ne faccio da solo.
Mi alzo, mi spolvero, rimetto i libri caduti al loro posto, pulisco casa, i peli della gatta, i pavimenti, i sanitari, penso a lei, sorrido, cucino per me, canto, imparo a memoria, chiamo gli amici, vado al cinema, mi riscaldo, vado a giocare a pallone, smisto sulla fascia, segno con un tocco morbido di snistro.

Faccio quello che so fare.

Faccio me stesso.

Mi fa male?
No.
È passato.
Mi fa bene?
Sì: è presente.

Il futuro è una rottura di cazzo.
Una baracconata per gente cupa.

Io rido.
Io scherzo.
Io vivo.
Io ti contagio.
E sorrido.

Va bene.
Mi sveglio.

mercoledì 10 ottobre 2012

Dieci piccoli uomini qualunque.

Eh sì, non mi sveglio più da questo mondo, non mi sveglio non mi sveglio no!
Mi piace stare qui!
Niente scuola, niente adulti, niente fai qui fai là, faccio quello che voglio, però non c'è niente da mangiare, ma non ho fame, però un po' di mars, patatine, ma non ho fame quindi.

Vabbe', poi ci sono 'sti due qui, sì, che sono adulti, ma fa niente, mica rompono, sono pazzi, si sparano ahahahaha, che scemi, invece di farsi un bel giro guarda quante case quanto spazio, non c'è nessuno, puoi correre, spaccare i vetri delle finestre, i mobili nelle case che non c'è nessuno, nessuno!

- E perché dovremmo tenerlo in vita?

Ecco, la pazza mi sta rompendo.
Vabbe', rispondo.

- Ma come perché? Ma non lo vedi? È un numero 10.

- Numero...? Ma che cazzo stai dicendo bamboccio?


Ahhhh, sempre simpaticona questa! E ci ha pure il fucile! Io me ne vado di corsa!

- Fermo! Non scappare, dai... scusa... che significa numero 10?

- Uffa... va bene, resto. Ma tieni giù quel fucile.

- Non sparo ai bambocci, io.

-Ok, ok. Ti spiego.
Parlo del numero 10 di quna squadra di calcio. Il regista, quello che sa giocare bene, a testa alta, guarda sempre i suoi compagni, mai la palla che gli sta incollata ai piedi, ci ha la "visione di gioco", capisce a chi passare, come e quando, per fare goal. E lo fa con un'intuizione, subito, senza pensare, un colpo di genio. E questo qui, che ci sta tirando le cuoia, è un numero 10. Ma uno di quelli sfigati. Uno che lo sa che ci ha la magia dei numeri 10, ma si spaventa, dice "no, no, cazzo, è troppo, ho paura, e se poi sbaglio?", e allora va a fare il numero 9, o il numero 11, corre sulla fascia quando non ha gambe e fiato, ma dove vuoi vai?, ma no, lui va, o sta lì, nel cnetro dell'area, lì che aspetta che gli passano la palla, quando invece è lui che deve passarla. Lui fa così, così, se non è tanto bravo, poi dice "e però, dai, io non sono veramente un numero 9, o un numero 11, non me la sono cavata mica male però, no?". E invece sì, hai fatto schifo! Sei un 10, e non lo vuoi fare, e anche se fai diecimila goal con il numero 9 attaccato sulla schiena, rimani un numero 10, uno che scappa da quello che sa fare meglio, uno che ha paura di quello che sa fare meglio di tutti, del peso che ci ha quel 10, e lo sai. Ma ti perdoniamo perché ogni tanto te l'appiccichi quel numero, non sbuffi, te lo tieni, te lo dimentichi che ti pesa sul collo, e fai quello che sai fare, ti pigli i fischi se sbagli, la vergogna se cicchi lo stop, il dribbling, il passaggio, e ricominci di nuovo. Stop, scarti l'avversario, fai il passaggio filtrante, ed è goal! La tua squadra ha segnato! E se si ricordano solo delle cappelle che hai fatto e non della magia che ti sei inventato, fa niente, avete segnato, state vincendo, e sei contento. E il tuo genio non te loo toglie nessuno.

La donna adesso sta zitta, be', è un miglioramento, è una rompiballe e rompe meno se sta zitta. Eh, è durata poco, ecco che mi parla.

- E questo è un numero 10... ammettiamo che io abbia capito la tua spiegazione, la tua metafora, diciamo... e chissenefrega? E allora? A me che me ne viene? Io lo voglio ammazzare, mi sta sul cazzo.

Io faccio spallucce, e quasi quasi me ne vado, questa è scema tutta, non capisce niente.
Ma no.

- Siamo nella sua stessa squadra... qui dentro. In questo mondo... lontano. Va bene, si lagna, non si mette quel cazzo di 10, lo devi pregare, dai, dai, mettitelo, ma poi lo fa eh? E tu lo vuoi uccidere? Quello che ci ha la fantasia, che gli viene una figata in mente e ci tira fuori dai guai? Ma sei sce-

Mi tappo la bocca.
Se no questa scema mi spara.

Non si ammazza un numero 10.
Ma io mica lo sono.

domenica 7 ottobre 2012

Facciamo pausa, e un'altra storia.

Allora: metto in pausa la storia on-going di Teste di nuvola.
Gli Inquilini sono sempre lì, poi riprendo.

Ma inizio un'altra storia, anzi, la continuo.
L'idea è di Fatacarabina: http://hotelushuaia.blogspot.it/
Lei ha iniziato a raccontare, con sole due frasi.
Poi me le ha passate, e mi ha chiesto se volevo giocare con lei, se volevo andare avanti, metterci altre due frasi, e poi passare il tutto a un altro blogger.
Un'altra blogger, del cui blog copierò il link in calce.
Se la blogger in questione non ne ha voglia, basta che me lo dica e giro il tutto a qualcun altra, o altro.
Via!

Giacomo aprì la porta della camera, andò ad aprire le tapparelle della finestra della cucina, si mise a preparare il caffè. Poi appoggiò la moka sul ripiano, e si guardò attorno. "Ma non c'è nessuno?". 

"Eccome se c'è qualcuno", sentì, solo pochi respiri dopo.
Giacomo sgranò gli occhi, fece due passi, iniziò a tremare, che cos'era, da dove veniva, di chi era quella voce, si appoggiò al davanzale della finestra, chiudendo di scatto gli occhi: non voleva guardare fuori.

Se na ha voglia, ora tocca a Mastrangelina: http://liberolamente.blogspot.it/

martedì 2 ottobre 2012

Questa musica non esiste.

Siamo io e lui, ai piedi del grattacielo.
Guardiamo in alto, l'insegna della radio che possiede l'edificio: RKO.
Il cielo è sereno, di un colore grigio terso, con sbuffi di nuvole, sembrano finte.
Mentre il palazzo è color perla, le finestre tutte uguali, nere lucide, una fila infinita di finestre, prima del tetto là in alto.
"Speriamo che vada bene", mi dice lui, aggiustandosi il cappello e sorridendo nervoso, "Ma certo, come vuoi che vada? Il tuo sound spacca". Deve fare una sessione live con la sua orchestra jazz, lui che conduce e che suona la tuba, strano per un direttore d'orchestra, la tuba.
Ma fanno una musica eccezionale, calda, toni marroni esplodono nell'arancione, nei momenti più intensi.
Una musica che spicca in questa città solare, sì, ma che ha solo scale di grigi, che trova la luce solo nel bianco splendente dei film americani degli anni 30.

Poi sono a casa, con la radio accesa.
Li ascolto, lui e la sua orchestra.
Spaccano, proprio come avevo detto.
Spengo la radio sorridendo. Mi giro verso il divano, dove c'è ancora la coperta che ci avvolgeva, a me e lui, mentre ci coccolavamo ascoltando dischi.
Mi chiedo se non sia troppo gay, io e lui in posizione fetale, abbracciati. Mi dico "ma chi se ne frega. Forse è ora di mollare il colpo con le donne. Sono stanco...", e con lo sguardo cerco il disco, lì nella bacheca colma di 33 giri, uno di fianco all'altro, la sensazione di ricchezza che scorre lungo la nuca.
Il disco.

È il disco di heavy metal più corposo che abbia mai sentito, un dipinto che si dipana sulla tela per linee intricate, a ogni ascolto cresce, non riesci ad afferrarne mai il disegno finale, lo trovo, lo sfilo dallo scaffale, è un doppio, dal vivo, guardo la copertina. La foto del leader del gruppo, i capelli ricci, morbidi, gli cadono davanti al viso mentre suona la chitarra, schizzi di luce e sudore, come un mantra che parta da lui.
Lo metto sul giradischi, ponendo la puntina in un punto a caso, verso la fine.
Lo ascolto sempre così, un pezzo alla volta, dove mi porta la sensazione della mano.

Sgorga quella musica. 
Azzurro elettrico, si tuffa in un blu cupo, mare profondo, impenna verso scintille giallo sole, ma non sbava mai, mai, nel colore dell'oro, anzi, si ripiega in alcuni argenti sfibranti, e poi riprende, blu cupo, azzurro elettrico, e pugni, calci, ti spezza e ti abbatte in una pozza rosso sangue.
Scuote tutto il mondo seduto, pacioso e serafico nei suoi bianchi perfetti, grigi infiniti e neri lucidati.

Quella musica.

Quella musica.

Mi sveglio.
Quella musica... quante volta ritorna nei miei sogni. 
Ma non c'è nella realtà.
La cerco, ma non c'é.

Apro gli occhi.
Il mondo è di nuovo a colori.
Spenti, morti, più morti del bianco e nero del sogno da cui emergo.
Ma colori.
Lividi, dolorosi, non rieco a muovermi, sento male ovunque.
Sono steso per terra, asfalto, puzza di fogna.
Il cielo coperto di smog, venato di giallo e nero, solo lui, nei miei occhi.

Un viso di donna si sporge in quel cielo.
Mi guarda.
Fredda.

_ Cazzo. È ancora vivo 'sto qui.

Una voce di bambino risponde.

_ Te l'ho detto che era vivo!

Porco dio.
Sto ancora sognando.

Porco.
Dio.

giovedì 14 giugno 2012

Due cose, prima di morire.

Riapro gli occhi che sono a letto.
Mi hanno legata.
Si vede che mi agitavo, e la stronza ferita di quella troia puttana di un'operazione di merda poi si apre.

Peccato.
Era bello stare di là.
Lontano.
Ammazzare il coglione.
Schiacciarlo, uno scarafaggio, sporco, la poltiglia gialla sotto le ciabatte.

_ Buongiorno cara. Oggi ne portano un altro, sa? Dagli uomini... non ne portano tanti in questo reparto.

L'infermiera. Vecchia troia.
Che cazzo vuoi che mi freghi.

_ Non sarà di grande compagnia... è in coma. Caduto da una finestra, dicono. Ah, ecco che lo portano...

Si affaccia dalla stanza, guarda.
Io sbircio quel che riesco. La processione di dottori e cazzoni in camice vari che accompagnano il povero stronzo.
Povero, povero stronzo.

Eccomi di nuovo qui.
Il fumo esce dalla canna del fucile.
Alzo gli occhi al cielo.
Il solito, freddo, accogliente coperchio di smog.
Sorrido.
Mi sento bene qui, lontano.

_ L'hai ucciso!

Chi cazzo è, adesso?
Un bambino?

_Perché? Perché?

Alzo le spalle.

Non serve un perché per essere senza cuore.
Non affannarti e sorridi.

E ora muori pure.



mercoledì 23 maggio 2012

L'amore degli ultimi.

Perché chi è sempre stato lasciato indietro ha una forza che lo divora.
Chi non viene mai visto.
O viene guardato con sorrisi freddi, distratti.
Chi prendeva la bici e andava sotto il palazzo, contava le finestre, trovava quelle con la luce accesa, è là che c'è la festa, ma non lo hanno invitato. Non lo invitano mai, al limite se hanno bisogno di un pagliaccio perché ci fai ridere tu.
Chi non riesce mai a immaginarsi lì con lei, nudi, abbracciati, sorridenti, o sudati, mani sulla pelle, sulle tette, nella figa umida, lei che ti vuole, a carponi, a culo in su, chiavami.
Invece si immagina benissimo a camminare fino a notte tarda, in mezzo a tante finestre che ormai dormono.
Finché è stanco, e va a letto anche lui.
Solo, come sempre.
Chi è solo, da sempre.

Chi è così ha un segreto che brucia.
Dietro quella faccia immobile nello stampo di una risata.

Ecco perché.
Perché la guardo, questa donna.
Guardo lei, non il suo fucile, la sua rabbia, la sua voglia di ammazzarmi.

La guardo e la voglio.
Sento il morso della fame di anni senza calore.
Lo conosco, ti prende la pancia, ti fa irrigidire i muscoli del viso, mostrare i denti.
Ti fa sbadigliare aria tesa.
Gli occhi bruciano appena.
La guardo, la vorrei annusare.
Toccare.
Amare.

Perché chi è sempre stato dimenticato.
Abbandonato.
Invisibile e muto.
Morto.
Per ogni donna.
Chi è stato in guerra da sempre.
Lui: ha una luce accecante.

Anche se siamo in questo mondo lontano.
Perso nelle mie fantasie.
Anche se questa donna non esiste.
Anche se questa donna...

Mi spara.
Mi ha sparato.

Allora: buio.

venerdì 18 maggio 2012

Minetti: MUOI.

Sono lì che lavoricchio davanti al monitore, con la "e", in italiano. 
Mi rompicchio, do un occhio al socialicchio netwkorkikkio, mi sale su una foto della Minetti.
Figa? Sì. Boh. No. No. 
Cioé, sì, ma sto invecchiando. Con la vecchiaia le donne sceme mi ammazzano l'ormone. Più invecchio e meno mi fanno sangue. 
Vabbe', magari non è scema, sebbene abbia lo sguardo molle di una con un cervello con le dimensioni di una biglia, quella con su Gimondi. 
Ti dirò, secondo me è una persona piuttosto intelligente, che è stata però delusa dalla vita e allora ha mollato, si è arresa, lasciando che le venisse regalato il mondo in cambio della figa. Vabbe', allora è vigliacca. 

Sento vento, intorno a me. 
Ho chiuso gli occhi, mentre pensavo. Sento echi, lamiere, barattoli che rotolano chissà dove, e ancora aria che soffia, sbatte tra muri e vie, mi strattona la camicia sul petto. 
Parlo ad alta voce: 
_ O è vigliacca, o è scema. 
La sentenza è la stessa. 
Sarà sterminata. 
_ Ma col cazzo! E poi chi cazzo saresti, tu? 
Apro gli occhi di botto. Mi hanno risposto! 
Una voce di donna... dove? Tasto la pistola che avevo appoggiata sulla gamba, mi guardo in giro. Troppi echi per capire da dove... 
_ Sono qui, coglione. E posa la pistola. Posala o ti freddo. 
Alzo la testa, è sopra di me, sul tetto del palazzo di fronte. 
Mi punta un fucile addosso.
Allargo le mani, e lentamente appoggio la pistola a terra. 

Mi devo svegliare. 
Mi devo svegliare. 

Cazzo. 
Non ci riesco.

giovedì 26 aprile 2012

Estate, che parola lontana

Ecco oggi sto a casa c'è festa a scuola non si va.
Mi annoio che palle al computer mi rompo alla play ci ho i soliti giochi.
Non c'è nessuno che gioca a pallone qui sotto in strada sono tutti partiti anche se non è estate.
All'oratorio non ci vado mi prendono in giro.
Voglio andare anche io via ma non ci sono i soldi bisogna aspettare l'estate.

Aspettare aspettare aspettare.
Chiuso in questo stanzone d questo palazzone vuoto.
L'ho girato e rigirato lo conosco sembra la mia casa ma molto più grossa come nei sogni.
Anche quando guardo al città dalle finestrone anche lei è grossa gigantesca e però non c'è mai il sole e nessuno.
Vado ancora mi affaccio mi appoggio guardo fuori respiro si sta bene fa freddo ma l'aria è pulita anche se c'è sempre le nuvole grigie un tetto su questa città gigante.
Nessuno però nessuno non c'è mai nessuno.

Aspetta quella chi è?
Qui sotto sulla terrazza qui sotto c'è una donna che zoppica è ferita.
Vestita tutta nera di pelle nera come un cowboy uno di quelli che fanno i duelli.
Una cowboy anzi una cowgirl si dice mi sembra.
Che fa?
Guarda sotto anche lei aspetta c'è un altro cowboy seduto più sotto nella via ci ha una pistola.
Una pistola!
Ma lei ci ha un fucile!
Un fucile!
Lui mica la vede e lei non gli spara lo guarda.
Aspetta.
Aspettano.

Aspettare aspettare aspettare.
Che strane robe che mi sogno a occhi aperti in quel palazzone di quella città gigante che noia.
Uffa che noia quando arriva l'estate?

mercoledì 11 aprile 2012

Appendi il cappello, cowboy.

Certo.
Quando me ne vado da qui, gli occhi che guardano qualcosa che non c'è, volo, mi trovo dall'altra parte, nella città di silenzio, nel mondo lontano, non ne ho bisogno.

Non ho bisogno della maschera.
La posso togliere.
Posso far vedere le mie stanchezze, le mie debolezze, che sono crudele, brutto, brutto dentro, le mie ferite, le mie rughe sporche.
Ma cerco di non farlo.

In fondo glielo devo, a quell'altro me.
Quello che si porta addosso questa faccia e quest'anima, ogni giorno, tutti i giorni.
Se le trascina a dietro.
In questo mondo.
Vicino.
Freddo.
Che sa di marcio.
Ogni giorno, tutti i giorni.

Se vuoi, tanto, puoi togliermela tu.
Qui, o di là, dove vuoi.
La maschera non nasconde per vergogna, solo per affetto.
Glielo devo a quell'altro me stesso.

Ne ha fatta così tanta di strada.
Con lo stesso cappotto sgualcito.

venerdì 24 febbraio 2012

Primo sole.

Ecco, adesso mi scalda una fetta di gamba.
Pian piano mi salirà sulle lenzuola che sanno di lisciva, mi scivolerà addosso, e poi se ne andrà.
Questo è il primo sole vero, dopo questo inverno.
E io sono ancora chiusa qua dentro.
Stesa su questo letto.
Ospedale.
Puzza di ospedale.

Sono sola.
Ho sempre vissuto da sola.
E una dopo un po' vuole vivere la vita che conosce, la vita di una che è da sola, ci è abituata, che ci vuoi fare, voglio tornare a casa e buttare le scarpe di là, i pantaloni di qua, sdraiarmi sul divano, senz apulire un tubo, pavimenti, piatti, basta, per oggi ho finito.
Certo, certo che mi sento sola, che mi sento quella tristezza di non parlare con nessuno. Nessuno per fare due parole, a casa, senza uscire, magari davanti a una fecciosa trasmissione della RAI, o magari adesso che c'è il sole su un terrazzo, seduti, l'aria fresca.
Certo.
Ma.

Seduta.
Sola.
Su un terrazzo sconnesso, distrutto dal mal tempo, dall'inquinamento, questa cappa opaca che non si toglie mai dalle palle di questo cielo di feltro.
Mi fa male la ferita, cammino male, meglio rimanere seduta.
Fa meno freddo oggi, ma c'è sempre polvere, se respiro a fondo tossisco, smog, schifi vari, chissà che cazzo ci hanno sparato dentro a questa atmosfera di merda.
Guardo tutta la città.
Sola anche lei, come me.
Deserta.
No, c'è qualcuno lì sotto, nella via.
ma che cazzo fa quel coglione?
Agita la pistola... l'appoggia sulle gambe...
Ma che emerito buffone.
Uomini.
Tutti stronzi.

Ecco, andato via.
Il sole.
E il mio sogno ad occhi aperti.
Il mio soffocante mondo lontano.
Ma perché cazzo poi ci vado a finire ogni volta?
Mah.
Tutte stronze le donne.

martedì 14 febbraio 2012

Mondolontano, quindi...

Esco. Fuori c'è polvere, vento che stona tra fessure, crepe di case deserte, freddo che ti fruga sotto il cappotto, ma qui dentro l'ombra mi fa mancare il fiato.
Esco, quindi.
Cammino sulla veranda di metallo e ruggine.
I miei stivalacci fanno rumore, risuonano, ad ogni passo che faccio.

Mi siedo sulla panchina di ferro, la vernice verde pallida, scrostata.
Gambe larghe, tengo il cappottone aperto, lascio vedere il cinturone.
Mi calco il cappello sulla fronte, mi tiro su la sciarpa, cerco di coprirmi fino al naso, contro il gelo, il vento bastardo che mi vuole ammazzare di polvere.

Tiro fuori la pistola dalla fondina.
La alzo, scuoto il polso, i riflessi smorti di questo sole sulla canna rivolta verso l'alto, che si veda bene, se sei lì appostato col tuo fucile, vedi di ammazzarmi al primo colpo, se no sono tutti cazzi tuoi.
Poi appoggio la mano con la pistola sulla gamba destra, la canna parallela al terreno, rivolta verso sinistra.
Io sono qui.
Mi sto rilassando.
Non rompete il cazzo, ok?

Poi il capo mi chiama.
Sparisce il vento.
Sparisce la polvere, il freddo, quella presenza che sentivo nella casa vuota di fronte.
Sparisce tutto quel mondo lontano.

Sono di nuovo seduto di fronte al mio monitor.
- Hai guardato che problema aveva il router di raccolta area Milano?
- Sì, il solito attacco subito dal solito cliente. Aggiornata ACL, però che rottura di coglioni.
- Paga bene, e il TUO direttore generale è felice.

Di nuovo seduto qui.
In ufficio.

Eppure la sento.

La sagoma della pistola.
Qui, appoggiata sulla mia gamba destra.

Ocio eh?

giovedì 2 febbraio 2012

A spiaggia, a spiaggia!

Guardo tutto questo mondo di bianco, (non mangio la neve gialla), sento il naso che gela, rimango appoggiato contro il vetro, dalla bocca il fumo, o il vapore, o la sigaretta, ma le mani in tasca, e l'occhio sinistro che non funziona.
Sento tutto il freddo, però.
Questo freddo.
Questo buio anche se bianco.

E di colpo sono in maglietta e costume da bagno, prendo l'asciugamano, quello grosso, iltelomare, e via che esco! Esco a piedi per le strade, la pelle poi s'indurisce, e corro, ci ho fretta.
(Il sole, quel colore d'argento che ha, là lontano, sul dorso del mare.)
Passo in mezzo alla gente, chi guarda i negozi, secchielli e palette, le biglie, i corridori, le auto, le infradita e gli occhiali.
Bambini, uomini, donne con la pelle caffelatte, o terra, o marmo, la pelle che a volte sembra d'arancio, a volte di fuoco, la pelle delle gambe, delle chiappe, la pelle di tutti i colori, ma nuda, scoperta, respira felice.
Poi li vedo, gli ombrelloni, e arrivo sulla sabbia.
Là, l'animale che sonnecchia, ti aspetta.
Dove il mondo si spezza, lui inizia.
Finisco la corsa, mi tuffo? Mi tuffo.


Nel mare.

Ma no, figurarsi, porto la sigaretta alle labbra e son subito qui.
Nell'inverno.
La fronte sul vetro.
La neve e poi il buio e poi niente più mare.
Niente più mare.
Niente più spiaggia.
Che male.

venerdì 27 gennaio 2012

Geometria che noia

E la maestra parla parla, ma io ho già capito tutto, sono bravo, so già tutto.
Che noia questi qui che non capiscono un cazzocappero e poi devo stare qui che mi viene sonno.
Pensa se quando insegno io, se magari poi insegno, sono bravo in geometria matematica e anche scrivere, se guardi dietro di me c'è uno che poi dorme.
Berlusconi che dorme!
Che ridere mi fa quel blog là con tutti i berlusconi che dormono ahahahah berlusconi che dorme fa ridere un botto.
Pensa se sono lì che gioco a pallone in diretta mondiale e poi vanno a vedere tra la folla e c'è berlusconi che dorme ahahahah.
Pensa se sono lì che salvo uno che è scivolato dentro un buco nella strada in diretta nazionale e poi fanno vedere i politici che sono arrivati lì anche loro e c'è berlusconi che dorme.
AHAHAHAH.
Pensa che sono lì che suono il pianoforte alla scala tutti vestiti bene di lusso ma se guardi bene dietro di me c'è berlusconi che dorme ahahahah basta mi viene da ridere a palla poi la maestra mi sgama e la nota non la voglio ne ho già presa una e basta.
Ma pensa se sei lì che giri per l'ospedale come il dottor house coi tuoi dottori che ti seguono e c'è berlusconi che... no, quello non è berlusconi, è una donna.

Ferita.
Ci ha il sangue nelle bende mammamia.
Una caterva di bende.
Basta immaginare.

Tra poco geometria è finita dai.

mercoledì 25 gennaio 2012

Piano dell'opera (dai, sono AAANNI che volevo scriverlo)

Allora: ho cambiato il titolo al blog perché avevo voglia di scrivere altro.
Roba più immediata, semplice per me da scrivere: mi viene in mente, tac, la scrivo, qui, direttamente sul blog (sì, in genere prima la scrivevo su un documento, la mettevo a posto e di vì e di và).
Le voci narranti, i protagonisti delle "storie", dei "post", dei pezzi, queste robe qui che scrvi sul blog, insomma, i "personaggi" sono IMMAGINARI.
Non sono io, anche se, dai, ovvio, ci sono tanti pezzi di me, e a volta sono proprio me, fatti e sputati, mica lo nego.
Ma neanche lo affermo, eh, mi gira così, anvedi.
Quindi nei tag ci metto chi è che "pensa" quello che scrivo, quello che vive quello che descrivo.

Per il momento ci sono solo Inquilino0 e Inquilina2, nomi provvisori, o magari definitivi, boh, e poi ce ne verranno altri di figuri, e mi inventerò un modo per "chiamarli", vediamo.
C'è qualcosa che lega tutti i personaggi in un'unica trama, ma insomma, è un blog, lo leggono in due, quando il capo non gli ha fatto troppe menate, il cane non gli ha mangiato il tavolino quello tantobbello d'a nonna co sopra le 'ncisioni de' purcini e de' purciari, il vicino non gli ha parcheggiato il suv sulla carrozzina con dentro il bambino di diecianni che vo' signò je piasce sta comodo, insomma, quando riescono, hanno tempo e voglia... figurati quindi a stare lì a seguire la trama

ERGO

la trama c'è, ma anche se non si vede, va bene lo stesso.

Ho detto tutto no?
Basta adesso dai.
Quanto abbiamo fatto?
Quante righe?
Abbiamo sforato...

martedì 24 gennaio 2012

Secret loser.

Tanto sei una perdente, da sempre, sei abituata, no?
È il tuo mondo.
Il tuo ambiente, non importa se è aspro, smunto, cattivo, nessuno ci vuole abitare, è comuqnue tuo, lo conosci come le tue tasche.
Ci stai bene, alla fine, ti culli nel dolore, vai avanti.

E poi finirà il male, cazzo che male, è finito l'antidolorifico, e ti alzerai da questo cazzo di lettino.
Prenderai quel diocristo di estintore, lo sbatterai sulla mascella di quella troia d'infermiera, poi sulla tempia del maiale bavoso di un infermiere, e poi via che si sfonda il cranio allo stronzo, il dottore, sangue, cervello sui piedi nudi, i pavimenti, scivolerai, ma alla fine via, via che ce la farai, fuori, sarai libera.

Dicevo, finirà questo dolore, anche senza medicine, finirà.
E uscirò da questo ospedale.

Ok, per il momento no, ok, resto, tanto sono abituata.
È il mio mondo, casa mia, la terra dei perdenti.
Non basta a stendermi.
Resto.
Aspetto.

Ma finirà.
Libera.
Libera.

venerdì 20 gennaio 2012

Sai com'è

Esci che non hai voglia di uscire, fa freddo, è una settimana che dormi poco, la gatta sta male, ti caga diarrea sul letto, divano, tavolo, sedie, sei solo, ti senti solo, lo sei, una giornata di lavoro piena di stronzi, ma esci lo stesso, vai a suonare, esci, forse la musica, ah, la musica, ti massaggerà un po' il cervello, fa male, è stanco, esci lo stesso, vai quindi.
Cammini, attraversi il cortile.

Poi tutto che esplode.

Appena sei uscito la caldaia si gonfia e va in pezzi.
Un boato alle spalle, il calore, cattivo, lo spostamento dell'aria, la tua faccia per terra, il cemento ti morde le labbra.
Intontito ti alzi, ti giri, poi guardi.
Un buco nero, cenere, detriti, non c'è più casa né niente.
La gatta dilaniata che muore.

Poi torni in te, nel freddo, i piedi per terra, era solo fantasia, di morte, ma ok.
Tutto è sempre al suo posto.

Sai com'è, sono solo stanco, ho freddo, non ho voglia di uscire, sono solo, tutto qui.

Prima però c'era qualcuno lì con me, hai sentito?
No? Va bene, ora vado, continuo, prendo la metro, che è tardi.
Sì, sì, ecco, la prendo.

giovedì 19 gennaio 2012

Varda chi si rivede...

Ero lì che ciapavo il caffè, quello della macchinetta, e tel chi ul Colzani.
L'era il vecchio portiné del 7, picul, andava su e giù per le scale, gh'era minga l'ascensore, già vecchio dieci anni fa, ci ha quella voce arrotolata come una polpetta di quelle che faceva mia nonna tutta densa e impanata grattava il palato un sapore forte e gustoso di vecchia via di Milano magari vicino al Carrobbio, via Piatti, ecco.
Ora è qui che gli insegnano a usare la fotocopiatrice.
Ul Colzani.
Che robe.