venerdì 19 novembre 2010

Desert song.

Alle otto in punto, hanno detto.
Loro sono sempre stati precisissimi da quando sono arrivati.
Alieni. Anche in questo. Mai uno sgarro, una debolezza, una distrazione, un solletico in fondo allo stomaco che ti fa rimanere con la mano a mezz’aria, la parola sospesa, il sorriso che scivola leggero verso una fantasia, un ricordo, un desiderio… Loro sono proprio diversi da noi.
Hanno deciso che la Terra è malata e deve essere distrutta, e con lei i germi, i terrestri. Noi.
Impossibile fermarli, convincerli del contrario, combatterli o anche solo intralciarli.
Hanno detto alle otto, e così sarà.
Ognuno faccia quello che meglio crede, fino a quell’ora… non c’è altro da fare.

Io sono qui a fare quello che so fare: osservare queste astronavi, riprenderle, commentare gli ultimi battiti del cuore di questa umanità condannata a morte dalla Loro inumanità.
I miei figli sono qui con me, sul tetto del Matitone, stanno con la loro mamma, non mi chiedono niente, solo stanno con me, mentre preparo la digicamera, controllo che lo streaming web funzioni anche per quest’ultima ripresa.
Alzo gli occhi al cielo, le astronavi, nuvole metalliche che si perdono a vista d’occhio, nascondono il sole di questa giornata tersa, ignara di tutto, stupida nella sua bellezza. Fatte di una lega aliena, nessuno sa cosa sia, adesso affollano il nostro cielo, riflettono Genova e il mare.
La Genova capovolta e quella di sotto, sembrano un’infinita fila di denti che stanno per frantumarci tutti.
Mancano pochi minuti alle otto.
Accendo la digicamera, inizio l’ultima ripresa in diretta.
Parlo, non so bene cosa dico, le solite cose credo, con voce fredda, credo.
Stringo a me i miei figli con il braccio libero.
Lo specchio formato dalle pance delle navi sembra abbassarsi, inesorabile… non so come faranno a eliminarci per sempre, nessuno lo sa.
Taccio un attimo.
Poi mi sento cantare.
Già, faccio ciò che amo, fino alla fine.
Canto.

Portami a ballare
Lo so, non si può

Sarò bella come non sai
Avrò capelli biondi di pesca
Pelle che sa di mare
Mi vestirò di blu
di azzurro e di bianco
Aspetterò il tuo arrivo
Sbirciando dall’alto
I piedi abbronzati
le mattonelle fresche
Le gambe nude e la musica

Portami a ballare
Lo so, non si può

Sarò bella come il giorno
Ancora tua questa volta
Lasciami danzare
Con occhi della notte
E mani serene
Lasciami sognare
Orchestre di seta
Risate nascoste
Il tuo respiro nel collo
Che sei ancora qui

Portami a ballare
Lo so…



Mi interrompo, un nodo in gola.
Che silenzio, in tutto il mondo.
Mi hanno sentito tutti.
Arrossisco, anche se stiamo per morire.
La mia voce che rimbalzava sulle immagini.
Ma aspetta…
Strano.
Le otto sono passate, ma… strano.
Loro non sono mai in ritardo.

Che silenzio.

venerdì 5 novembre 2010

Net Mind.

Peppermind: Ehm… non so se… ci sei? Cioè, c’è? Qualcuno, dico.

Di là
:
(silenzio liscio, velluto di ghiaccio, ombra bruna infinita)

PM: Vabbe’, io dico quello che devo dire poi vedetevela tra voi che io non so mica qui se no. Mi hanno promosso. Non lavoro più all’helpdesk… dopo due mesi di duro lavoro mi hanno confermato: sono un tecnico network. Mai più mi toccherà sentire le scemate dei clienti, mai più ci ho il tostapane che fa contatto con il nervo sciatico non riesco a muovere il mouse quando che magno li tosti potete fare qualcosa come no prova cor pane de segale, segale in due quelle ditine che sennò te e spezzo io. Insomma, ora sono un vero tecnico informatico e quindi… me ne vado.

Di là: (risate spezzate, trattenute, cascate di singhiozzi leggeri, sembrano fiori di ciliegio mossi dal vento, il sole che passa tra i rami, ma poi tutto torna silenzio, una sala grande come una galassia, colma di eco profondo e notte)

PM
: Allora… so long… io… smetto qui.


Milk Mind: (un soffio, solletico dietro gli occhi)
Vai.
Sì.
Ora vai.
Tanto hai un patto.
Fare domande.

Cercare risposte.

Non.
Smetterai.

Mai.


Pepper Mind

Network Engineer

Internettoes S.p.a.

Via Lattea 8 - 20100 Milano

Phone +39 02 pissipissibaobao

E-mail noc@internettoes.it

lunedì 1 novembre 2010

Tuffo nel flou.

È un uomo qualunque, una vita normale, tra le tante.
Vive da solo, non ha mai avuto una relazione vera, i progetti, i desideri, quel futuro che fa parte di tutti i giorni, immaginato, masticato assieme, quello gli manca, ma resta una vita decente, emozioni, risate, amici, parole, amiche, sesso, affetto. Una vita che va bene così.
È un uomo qualunque, ma va bene così.

Sì, vero, a volte gli prende qualcosa dentro, ascolta tanta musica, ad alto volume, a occhi chiusi, dondola la testa, vola chissà dove.
Ma poi torna, perché va bene, è una vita qualunque, ma va bene, ci puoi tornare senza morire.

Però certe notti… certe notti sente qualcosa.
Allora esce e cammina, cammina, verso il mare, la spiaggia, poi il lungomare spazzato dalla solitudine, la carta straccia nel vento, un paese addormentato già da ore, i granelli di sabbia e sale sotto le scarpe, il bavero alzato, la testa bassa.
Arriva fino al molo, e cammina, cammina fino alla fine, dove ci sono gli scogli, il mare che sbadiglia la sua potenza d’inverno, il fragore, nebbia d’onde tra i capelli, urlo gutturale, immenso e scuro.
Si siede, guarda tutto quel nero, luci lontane, lampare, Arenzano seduta lì di fianco, a volte Genova in fondo al nulla, e si stringe stretto.
Immagina i figli che non ha. Le colazioni, le domeniche, il sole che fa brillare la tavola, sua moglie che sorride di nascosto. Si immagina seduto per terra che fa buffe costruzioni coi lego, suo figlio che ride, sua figlia che lo rimprovera perché non fa il serio.
Pensa che non li avrà mai.

Allora piange.
Inizia come un mugugno, tra il cuore e le costole, poi dilaga dalla bocca, a voce alta.
Le lacrime sulle labbra spaccate, la gola scorticata.
Piange forte.
Come un bambino.
Tanto nessuno lo sente.